La temperatura è già alta alle 9.30, pochi però sono fuori dalle tende dove hanno trascorso la notte, sotto gli alberi del Boulevard Rothschild, in una zona tra le più esclusive di Tel Aviv a pochi metri dalla centrale via Dizengoff. Qui il 19 giugno decine di israeliani, famiglie con figli e single, sono tornati ad allestire un campo di tende. Protestano contro il costo delle abitazioni, gli affitti in continuo aumento e, più in generale, per il carovita che pone Tel Aviv e Israele ai vertici di questa sconfortante classifica mondiale. È una replica, di proporzioni (ancora) inferiori, della protesta degli indignati israeliani dell’estate del 2011 che si unì a quella degli indignati in Europa e che a tratti ebbe punti in comune con correnti delle primavere arabe. Ieri sera era atteso un primo raduno, in preparazione della manifestazione nazionale che dovrebbe tenersi il 2 luglio a Tel Aviv e che sui social ha già raccolto circa 30mila adesioni. Si stanno formando comitati un po’ ovunque e piccoli accampamenti sono sorti in altre città, tra cui Gerusalemme dove però inizialmente è stato sgomberato dalla polizia.

Doria, una insegnante, è seduta sul prato del Boulevard Rothschild. Sorseggia un caffè nero e lungo mentre conversa con una amica. «Ero qui 11 anni fa e sono qui nel 2022, in condizioni ancora più complicate» ci dice «il mio salario è rimasto lo stesso mentre gli affitti sono saliti in cielo». La pandemia, aggiunge, ha complicato tutto. «Tanti hanno perduto il lavoro e quando lo hanno ritrovato si sono accorti che i proprietari delle case per recuperare le perdite, nel frattempo, avevano messo in vendita le abitazioni a prezzi impossibili al metro quadro. Per non parlare dell’aumento degli affitti». Gli organizzatori della protesta persone comuni e indipendenti da qualsiasi partito, chiedono che lo Stato intervenga con decisione per dare una frenata ai prezzi proibitivi delle proprietà e degli affitti. La maggioranza degli israeliani crede che le proteste pubbliche saranno ancora più efficaci nell’influenzare la politica ora che è caduto il governo Bennett e i partiti dovranno pensare alla campagna elettorale. Gli organizzatori della manifestazione di luglio, perciò, alzano la voce da qualche giorno e chiedono cambiamenti immediati nel mercato immobiliare. È prassi comune nei contratti di affitto collegare gli aumenti a uno degli indici dei prezzi al consumo. E ciò si sta rivelando la spirale che strangola migliaia di famiglie. «Il governo deve comprendere che ha la responsabilità di fornire a tutti nel paese un posto decente in cui vivere», esorta Gan Mor dell’Associazione per i diritti civili.

Tel Aviv Israel
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Se nel 2011 la protesta – che a un certo punto portò nelle strade di Tel Aviv e di altre città quasi un milione di persone – aveva per protagonisti in prevalenza israeliani delle fasce di reddito più basse, oggi a Boulevard Rothschild si incontrano anche trentenni impiegati nell’high-tech. Secondo Yad2, il sito più usato per gli affitti, nel primo trimestre del 2022 i contratti di locazione sono aumentati in media del 10%. A Tel Aviv però spesso è chiesto di pagare dal 30% al 40% in più. Il mercato immobiliare è cresciuto del 15,4% nell’ultimo anno ma questo è un dato ufficiale che non tiene conto del «nero».

Il mercato degli affitti è una giungla a Tel Aviv. Una stanza in un appartamento diviso tra più inquilini, situazione tipica tra i giovani lavoratori e gli universitari, costa almeno 4mila shekel (1.100 euro). Un appartamento di tre stanze costa almeno 12mila shekel, circa 3300 euro. «Se come insegnante ho un salario che non va oltre gli 8mila shekel (2.200 euro) come faccio a pagare l’affitto e cosa darò da mangiare ai miei figli?», domanda Doria.

L’indice internazionale Numbeo calcola che in media una famiglia israeliana di quattro persone ha bisogno mensilmente di 12.700 shekel (3500 euro), al quale va aggiunto l’affitto se non si possiede una abitazione. Il costo della vita in Israele è più alto del 12% rispetto agli Stati uniti e a Tel Aviv questa percentuale è più elevata. In tali circostanze l’aiuto delle famiglie di origine è diventato essenziale per non pochi single e le giovani coppie. «Tanti sono tornati a casa dai genitori. E questo non vale solo per Tel Aviv» ci dice Guy Meltzer, un insegnante di yoga per bambini. «Solo le fasce di reddito elevate – aggiunge – possono resistere a questa pressione». Guy e la sua famiglia hanno deciso di trasferirsi in una città piccola, andranno a Nesher, nei pressi di Haifa. «La vita costa anche lì ma non come a Tel Aviv».

Daphni Leef (foto di Michele Giorgio)

In un paese dove il liberismo sfrenato, i monopoli e le concentrazioni di potere hanno azzerato i residui dello stato sociale, i proprietari di immobili sono una lobby potente. Vendere un appartamento è molto conveniente perché il valore delle proprietà è aumentato tra il 22 e il 28% tra il 2020 e il 2021 a causa anche della richiesta crescente di abitazioni generata della bassa età media della popolazione. «Tante cose sono mutate, molte altre, fondamentali invece sono rimaste allo stesso punto o si sono aggravate» ci dice Daphni Leef, uno dei volti più noti della protesta del 2011 che incontriamo al caffè Levontin 2 noto punto d’incontro della Tel Aviv meno convenzionale. «Ho rispetto per coloro che hanno deciso di scendere in strada. Auguro loro di avere successo ma credo che la protesta di 11 anni fa sia irripetibile perché era inserita in una azione globale che oggi non c’è. A quel tempo avevo contatti con persone che lottavano su temi comuni in Europa e nel mondo arabo. Era un movimento di una intera generazione che voleva cambiare, adesso non credo, pesa di più la pandemia». Leef non crede che la questione del costo della vita e degli affitti stellari debba essere affrontata con un approccio ideologico. «Abbiamo bisogno di costruire più case ma anche di un cambiamento etico. Se le persone non muteranno dentro non potrà esserci un atteggiamento diverso verso l’altro che resterà solo qualcuno da usare a nostro vantaggio».