Si è scritto e si è detto tantissimo di Rossana Rossanda, così è stato anche nella bella iniziativa di giovedì 24 settembre a Roma.
Pure nella straordinaria e affettuosa partecipazione di questi giorni vi è una dimenticanza importante, non credo per malizia né per una banale distrazione.

È CHE LA FATICOSA, difficile opera di costruzione di un’organizzazione politica, il cimento con la direzione di un partito, a maggior ragione se piccolo, così come la costruzione quotidiana dei movimenti è qualcosa ormai di inusuale, di inattuale, anche nella sinistra più di sinistra. Dal 1970 e per gran parte di tutto quel decennio Rossana insieme a Lucio Magri e a tanti altri di ciò si occupò con generosità, cultura e quella intelligenza che le viene universalmente riconosciuta. È stata una militante combattiva, appassionata, prima nella costruzione della organizzazione del Manifesto, poi nella complicata storia del Pdup. Io l’ho conosciuta così. Ero un giovane movimentista del 68 e quando di Rossanda lessi le Tesi sulla scuola ne rimasi come fulminato.

In quelle tesi si sosteneva la fine della separatezza della scuola, la socializzazione delle conoscenze, la suggestione delle quattro ore di studio e quattro ore di lavoro, una risposta non economicistica ai problemi della scuola. Quel che noi studenti di medicina e dei collettivi universitari della Sapienza di Roma andavamo sperimentando nella ricerca politica, nel rapporto con i metalmeccanici della Tiburtina, con i proletari dei quartieri popolari di Roma, in primis di San Basilio (con l’autogestione dell’ambulatorio del popolo), trovava espressione teorica in quel saggio uscito sul Manifesto rivista il 2 Febbraio del 1970.

DI LÌ INIZIÒ il nostro dialogo con il Manifesto. E Rossana con la pazienza del militante passo dopo passo portò noi e con noi una grande parte del movimento studentesco romano nella organizzazione del Manifesto. Più tardi dopo il disastro elettorale del Manifesto nel 1972 compresi quanto fosse profondo il legame fra Rossanda e Magri, quanto forte la condivisione di un progetto di organizzazione a sinistra del Partito comunista. Con il disastro elettorale del 1972 Magri si tirò da parte, Rossanda si assunse la responsabilità della direzione del movimento. Da giovane e impertinente movimentista a lei mi rivolsi chiedendole di prendere nelle mani il futuro del Manifesto e di lasciare ‘il riformista’ Magri al suo destino. Con un sorriso affettuoso e con poche parole mi disse: «Famiano senza Lucio non si va da nessuna parte».
Negli anni che seguirono, fin al fatidico 1977, Rossana lavorò prima alla costruzione del movimento del Manifesto, poi del Pdup.

IL PROGETTO era quello di costruire un soggetto politico autonomo, un «ponte» capace di far comunicare l’esperienza storica dei comunisti italiani, e più in generale della sinistra, con le nuove soggettività emerse nel 68 degli studenti e con il 69 operaio. La strategia chiedeva di ripensare e formulare una critica radicale alla storia dei comunisti, di riconciliare nel comunismo le idee di libertà e di uguaglianza. Praga è sola, scritto da Magri due mesi prima della radiazione dal Pci, e il Convegno di Venezia su Potere e opposizione nelle società post-rivoluzionarie, organizzato nel 1977 dal Pdup e il Manifesto e introdotto da Rossanda, hanno la stessa sostanza. Il disegno di quei primi anni Settanta era quello «di prefigurare nei movimenti, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università l’idea gramsciana di una nuova società». Furono anni di gestazione del primo Pdup, non semplici ma di grande fertilità.

SI SEMINARONO idee ed esperienze, misero radici quei movimenti che sarebbero tornati a organizzarsi dopo il 77 e dopo le leggi di emergenza. Le leghe dei disoccupati, i movimenti pacifisti contro i missili Cruise e Pershing nei primissimi anni 80 e tante altre esperienze politiche è da lì che vengono.

Al Congresso del Pdup a Bologna nel 1976, nel quale i contrasti con Vittorio Foa e l’ex Psiup furono tali da anticipare la rottura che ne sarebbe seguita nel partito, Luigi Pintor presentò una terza mozione. Magri e Rossanda sostennero le stesse posizioni, la stessa mozione, le stesse Tesi che furono illustrate da Rossana all’apertura del Congresso. Ricordo questi episodi non per pignoleria, ma perché non si può affermare, senza tradire una parte della sua biografia politica, che Rossanda sia stata prima una dirigente del Partito comunista, dopo una giornalista, garantista e intellettuale raffinata che prestava attenzione ai movimenti e in particolare al movimento femminista.

No, Rossanda è stata anche, nel decennio che vide la nascita delle organizzazioni della nuova sinistra in Italia, militante e dirigente politica dell’organizzazione del Manifesto e del Pdup.
Le strade si separarono negli anni del ’77 e del ’78. Le ragioni che furono alla base di quella separazione del partito con il giornale meriterebbero ancora oggi di essere più seriamente discusse e non soltanto agitate. La rottura fu dolorosa e per non poco tempo tale restò.

MA I FATTI di questi ultimi venti anni testimoniano quanto profondo fosse il legame che teneva insieme il nucleo del gruppo che fondò il Manifesto. Le ragioni della stima di un tempo, la condivisione di un orizzonte culturale e politico, si rivelarono più forti della rottura di fine anni 70.
Diversamente non vi sarebbe spiegazione al fatto che Magri, Rossanda , Pintor, Castellina, Parlato e Maone tornassero nel 2000 a fare insieme la rivista il Manifesto e a questa nuova impresa partecipò lo stesso Pietro Ingrao. Né sarebbe comprensibile il grande atto d’amore che portò Rossana vicino a Lucio negli ultimi giorni della sua vita.