«Sì, tutto inizia e finisce a Cutusìo. E può un uomo essere così legato a un luogo?». Concludendo il suo memoriale con queste parole, il poeta e narratore Nino De Vita (1950) torna a mettere in rilievo – come ha fatto in altri passi del testo – la centralità che la contrada marsalese nella quale è nato, ha vissuto e continua a risiedere ha sempre avuto ai suoi occhi. Alla domanda citata non potrebbe rispondere, quindi, che in maniera affermativa dal momento che Solo un giro di chiave (il Palindromo, pp. 112, euro 12) intende costituire in primo luogo un omaggio tanto a una terra, la località situata appunto nelle campagne di Marsala, quanto a una casa e a coloro che la abitano.

FONDAMENTALI, in questo contesto, sono i ricordi attraverso i quali l’autore richiama alla memoria i momenti più significativi della sua formazione: egli ci parla dunque delle letture che ne hanno maggiormente influenzato gusti e predilezioni, dell’avversione nutrita nei confronti dello stile di tanti romanzi, della sconfinata passione per il proprio dialetto, della venerazione maturata per la stringatezza e la musicalità del linguaggio poetico.

A quest’ultimo riguardo, De Vita scrive: «Potevo con i versi esprimere quello che con la prosa avrei dovuto dire adoperando una intera pagina di scrittura: potevo inoltre con i versi nascondere impressioni, situazioni, che avrei dovuto altrimenti specificare, chiarire». Per poi concludere, poco dopo: «Io, scrittore di versi, non ho il respiro del prosatore, e al prosatore manca la possibilità di risolvere, di chiudere, dando un solo giro di chiave».

Ricordi ai quali si aggiungono quelli relativi agli incontri con Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino: occasioni che egli riporta con rara essenzialità, discrezione e leggerezza, sebbene non manchino di suscitare nel lettore quel senso di malinconia che nasce dalla perdita di una persona cara, frequentata a lungo e purtroppo insostituibile. Restano impresse, in particolare, le pagine che descrivono la premurosa maniera con cui l’autore di Retablo si lasciava guidare per le stradine di Cutusìo animato dal piacere di guardarsi intorno e dal desiderio di soddisfare le tante curiosità che gli venivano stimolate dal luogo.

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È poi interessante sottolineare come la scarna e incisiva prosa di De Vita presenti altresì una ragguardevole precisione e ricchezza lessicale, testimoniata dall’avveduto utilizzo di vocaboli quali «baglio», «timpa», «bùmmulo», «gebbia», «balata». E come la sua scrittura, sapientemente arricchita dall’inserimento di alcuni termini dialettali, si caratterizzi inoltre per una costruzione della frase che sembra felicemente influenzata dal vernacolo marsalese: quel dialetto che egli ha utilizzato per i suoi versi spinto dalla necessità di conservarne le molte parole ormai sul punto di scomparire.

È COSÌ RIUSCITO a mettere insieme, a poco a poco, quel «lungo testo» al quale ha lavorato e attinto, e che rappresenta forse il suo maggiore contributo alla letteratura dell’isola.