Sono passati quarant’anni da quando, il 30 aprile 1982, Pio La Torre perse la vita per mano mafiosa, nella fase drammatica della strategia terrorista di Cosa Nostra. Da alcuni anni la figura del dirigente comunista è al centro di un rinnovato interesse scientifico, capace di collocare la sua morte dentro il suo percorso di militante e dirigente politico. In questo quadro si inserisce il seminario che si terrà il 2 maggio presso il Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali dell’Università di Palermo, organizzato in collaborazione con l’Istituto Gramsci Siciliano, in ideale continuità con i risultati di un importante volume del 2018 curato da Tommaso Baris e Gregorio Sorgonà (Pio La Torre dirigente del Pci, Istituto Poligrafico Europeo, pp. 208, euro 16).

LA TORRE SI FORMA nel dopoguerra nella grande stagione della mobilitazione contadina della Sicilia, finendo in carcere proprio per il suo ruolo di organizzatore delle lotte. Da giovane quadro del Pci siciliano è chiamato a riflettere sulla scelta autonomista, ispirata da Togliatti, che mirava ad allargare ai ceti medi e all’intellettualità cittadina il consenso verso il Pci. In tale passaggio l’azione legislativa della Regione appariva fondamentale per aprire una nuova stagione di sviluppo dell’Isola, che partendo dall’agricoltura si allargasse ad altri settori, incontrando l’industria. Era la scelta strategica del Pci meridionale: essere una grande forza popolare capace di offrire risposte e soluzioni concrete alle domande di cambiamento dei ceti che cercava di organizzare.

Quando all’inizio degli anni Sessanta a livello nazionale si cominciò a ragionare in termini di programmazione economica, anche La Torre sostenne l’idea di un’industrializzazione dell’Isola costruita con il sostegno dell’intervento pubblico, in un quadro di programmazione regionale.

LA SUA TESI DI LAUREA in Scienze politiche, discussa nel 1961 mentre era in carica come segretario generale della Cgil siciliana e deputato regionale, fu non a caso intitolata «Intorno ad una programmazione per lo sviluppo della Sicilia». Da qui la sua idea di un intervento dello Stato sano e virtuoso, in collaborazione con l’imprenditoria locale non parassitaria e con i settori professionali e tecnici interessati a uno sviluppo differente da quello guidato dalla Dc, considerato legato ai grandi monopoli privati continentali. Temi ripresi nella sua esperienza di segretario regionale del Pci quando, dopo l’esperienza del governo Milazzo, lavorò alla costruzione di un programma di governo alternativo, in grado di ricostruire l’unità a sinistra con il Psi e di avvicinare le componenti più progressiste del mondo cattolico e della stessa Dc.

Lo scontro con il mondo mafioso è figlio di questo percorso politico: da qui la lotta ai gabellotti mafiosi, alle infiltrazioni al Cantiere navale di Palermo, all’ambiguo intreccio tra politica, affari e macchina amministrativa regionale che gli pareva il nodo centrale del potere Dc nell’Isola. È con tale bagaglio che La Torre, prima alla Commissione agricoltura e poi in quella per il Mezzogiorno, continuò da dirigente nazionale la riflessione sulla mafia, consegnata poi alla relazione di minoranza della Commissione antimafia nel 1976. In quel testo segnalava non solo l’inquinamento mafioso di parti della Dc siciliana ma anche l’inizio di una battaglia di rinnovamento, di cui l’ascesa di Piersanti Mattarella sino alla guida della Regione sarebbe stato un risultato, favorito dal Pci che ne sostenne il governo e i tentativi di riforma.

PROPRIO L’ESCALATION mafiosa che colpì lo stesso Mattarella e prima di lui il giudice Cesare Terranova, tornato a fare il magistrato dopo l’elezione in parlamento con il Pci, lo spinse a tornare a fare il segretario regionale, impegnandosi nella battaglia per la pace e contro l’installazione degli euromissili a Comiso, mentre lavorava al progetto di legge che prevedeva l’introduzione del reato di associazione di tipo mafioso e la confisca dei beni dei condannati, un provvedimento che sarebbe stato approvato solo il 13 settembre 1982, dopo la sua morte e dopo l’uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuta il 3 settembre dello stesso anno.