Europa

Un video smentisce la versione della Guardia costiera greca

Un video smentisce la versione della Guardia costiera grecaIl trasferimento dei superstiti della strage a largo del Peloponneso da Kalamata a Malakasa, a nord di Atene – foto Ap

Immigrazione Le immagini riprese da un mercantile mostrano il peschereccio immobile nel mare calmo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 giugno 2023

Milioni di euro per dotare la Guardia costiera greca delle tecnologie più sofisticate non sono bastati per garantire la ripresa video dei soccorsi effettuati mercoledì a largo del Peloponneso. Quando il peschereccio con a bordo 750 persone colava a picco in uno dei punti più profondi del Mediterraneo, l’equipaggio della motovedetta greca non aveva premuto il pulsante della registrazione. È questa l’ultima sconcertante ammissione del portavoce della Guardia costiera, che in un’intervista all’emittente Mega ha ricordato: «Quando avviene un incidente, dobbiamo essere in grado di operare senza ostacoli, si capisce che mettere qualcuno a fare video non è la priorità».

Ma la modernissima nave LS-920 della Guardia costiera che stava monitorando il peschereccio sovraccarico aveva telecamere notturne, che non necessitano dell’impiego dell’equipaggio. Come è possibile che di fronte a un’emergenza simile siano rimaste spente? Eppure tanti altri interventi, conclusi con successo dalla Guardia costiera – che solo nel marzo scorso ha beneficiato di un finanziamento di 18 milioni di euro per rafforzare “la protezione delle frontiere marittime” – sono stati annunciati in passato con una ricca rassegna di video e foto. Difficile pensare che di questa ultima operazione non sia rimasta traccia.

UN VIDEO DEL PESCHERECCIO ripreso dalla tolda di un mercantile ha iniziato a circolare ieri sul sito defenseline.gr; mostra l’imbarcazione al tramonto, immobile nel mare calmo. Il meteo, dunque, avrebbe favorito un intervento di salvataggio, mentre l’imbarcazione ferma sembra confutare la versione della Guardia costiera, secondo la quale i migranti stavano proseguendo la rotta verso l’Italia e rifiutavano i soccorsi.

IL PASSARE DELLE ORE, da quando è avvenuta la strage, ha fatto aumentare gli interrogativi, invece che riempire con nuovi tasselli i buchi nella ricostruzione.

Perché sono dovuti trascorrere tre giorni dal naufragio, prima che la Guardia costiera ammettesse di avere agganciato il peschereccio con una corda? Perché a nessuna delle persone a bordo era stato consegnato un salvagente? «Nel maggio scorso la nave Geo Barents, di Medici senza frontiere, ha salvato 600 persone: esistono protocolli specifici per questo tipo di imbarcazioni. La Guardia Costiera ne ha uno? Se vuole glielo forniamo» ha attaccato durante un’intervista all’emittente Contra Iasonas Apostopoulos, soccorritore famoso in Grecia per essere finito al centro di una campagna di odio dopo avere denunciato i respingimenti illegali delle autorità.

Prende sempre più consistenza l’ipotesi che il tentativo di trainare il peschereccio con una corda servisse a compiere un respingimento illegale, forse a trainare la barca verso l’area di ricerca e soccorso in mare di competenza italiana.

Un’operazione che ricorda altri precedenti drammatici come quello avvenuto nel 2014 a largo dell’isolotto greco di Farmakonisi, davanti alle coste turche, quando una motovedetta della Guardia costiera greca aveva provato a trainare con una corda un’imbarcazione di migranti, provocando l’affondamento e la morte di undici persone che si trovavano a bordo. Un intervento per il quale, l’anno scorso, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato la Grecia.

Per ora l’impegno delle autorità elleniche sembra concentrarsi piuttosto sulla ricerca degli “scafisti”. Indagini per le quali Atene ha richiesto anche l’intervento dell’Europol: nove uomini egiziani sopravvissuti al naufragio, tra i 20 e i 40 anni, sono stati accusati di omicidio colposo e traffico di esseri umani e compariranno domani davanti al procuratore di Kalamata. I superstiti, 71, tutti uomini, si trovano nel campo di Malakasa, a nord di Atene. Le loro testimonianze, preziose per la ricostruzione degli eventi sono, per ora, rinchiuse con loro in un campo sorvegliato da telecamere e protetto da alte mura.

DUCCIO STADERINI, capo missione in Grecia di Medici senza frontiere, è lì dal giorno del loro arrivo con un team che sta fornendo supporto psicologico ai superstiti. «Ci sono persone in stato di shock molto profondo che hanno visto amici e parenti sparire tra le onde, i sopravvissuti sono al limite della tolleranza e quasi tutti sono alla ricerca di conoscenti tra i dispersi» racconta al manifesto.

«Nel pomeriggio cerchiamo di concludere le sedute di sostegno psicologico entro le 17, perché se proseguiamo oltre poi non riescono a dormire. Quando rievocano quello che hanno vissuto, le reazioni psicosomatiche sono molteplici, e anche nutrirsi o dormire diventa un problema» racconta. «Parliamo di persone estremamente vulnerabili, che hanno attraversato il deserto e l’inferno libico: il trauma della vicinanza con la morte è spesso l’ultima goccia che fa traboccare il vaso».

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