Arriva a BolognaFiere la terza edizione di Slow Wine Fair, che riunisce la rete mondiale composta da tutti i protagonisti della filiera del vino che ogni giorno portano avanti i princìpi del Manifesto del vino buono pulito e giusto, preservando l’ambiente e le sue risorse e mantenendo viva la loro comunità di appartenenza. L’appuntamento è da domenica 25 a martedì 27 febbraio, quando sarà possibile viaggiare tra i continenti grazie alle oltre 900 cantine presenti, 200 delle quali provenienti da ben 25 Paesi: oltre a quelli più vicini e blasonati – 39 arrivano dalla Francia, 17 da Spagna, 18 dall’Austria e 7 dalla Germania – ci sono anche i vignaioli turschi e – al debutto – cantine dell’Australia, del Giappone, del Messico, del Sudafrica e della Svezia.

PER SLOW FOOD ITALIA, che ha ideato la manifestazione, organizzata da BolognaFiere e Sana, la fiera vuole essere un punto di riferimento per il panorama vitivinicolo internazionale in un momento storico in cui è fondamentale riconoscere l’esigenza di fermarsi e ripartire: «All’inizio degli anni Ottanta abbiamo assistito alla prima rivoluzione del mondo del vino, quando si è trasformato da alimento in prodotto edonistico. Ora, alla luce delle profonde trasformazioni che hanno cambiato il sistema della sua produzione a livello mondiale è necessario ripensare e riscrivere il ruolo delle aziende vitivinicole» spiega Slow Food presentando questa terza edizione della fiera.

È VERO CHE L’ITALIA, CON QUASI 136 MILA ettari di vite coltivata con metodo biologico, detiene il primato per incidenza di superficie vitata bio, oggi pari al 19% sul totale della viticoltura nazionale. È vero anche che negli ultimi 10 anni le superfici di vite coltivate a bio sono aumentate di oltre il 145%, ma resta innegabile che la viticoltura è tra i principali consumatori di prodotti antifungini e insetticidi ed è quindi responsabile dell’inquinamento e del depauperamento della biodiversità di flora e fauna tra i filari. Paradossalmente, nelle zone di maggiore pregio (pensiamo alle Langhe o alla Valpolicella, ad esempio) si assiste anche alla presenza imperante della monocultura, che impoverisce la vitalità dei suoli ed esclude gli altri prodotti agricoli meno remunerativi, così come la presenza di gerbidi e zone boschive che sono essenziali per la salute dell’ecosistema.

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PROBLEMI PROFONDI, PER CHI VUOLE provare a «dar vita a una rivoluzione nel mondo del vino virtuosa che trasformi completamente la vitivinicoltura» e per questo promuove «uno sforzo collettivo da parte di tutti coloro che amano il vino». Slow Food è convinta che le cantine possano impegnarsi in tre precise direzioni, che avranno un forte impatto sull’agricoltura e sugli appassionati. Il primo ambito è la sostenibilità ambientale; il secondo la tutela del paesaggio; il terzo è assumere un ruolo culturale e sociale nei territori in cui operano. Alla base di tutto, però, ci sono le scelte in campagna: le cantine non devono usare concimi, diserbanti e antibotritici provenienti dalla chimica di sintesi, è uno dei punti chiave del Manifesto.

ECCO PERCHE’ NELLA TRE GIORNI dedicata al vino buono, pulito e giusto non mancheranno masterclass e degustazione ai banchi d’assaggio, ma il cuore della manifestazione sono convegni, presentazioni e incontri dove esperti, produttori, docenti e autori si confronteranno sulle principali istanze legate al panorama vitivinicolo internazionale, scambiando idee su buone pratiche e obiettivi futuri: in un’epoca in cui l’agricoltura è spesso dipendente da agrofarmaci, insetticidi e concimi chimici e in cui allo stesso tempo sta affrontando eventi climatici sempre più gravi e devastanti, Slow Wine Fair è l’occasione per discutere delle presenti sfide ambientali, condividendo soluzioni innovative in vigna e in cantina e sottolineando le capacità resilienti della viticoltura biologica e dei valori fondanti dell’agroecologia.

LO SPAZIO DELLA DEMETER ARENA (padiglione 20), sostenuta dal partner ufficiale della manifestazione, dà spazio alle molteplici esperienze di produttrici e produttori che aderiscono alla rete internazionale della Slow Wine Coalition. Dalle montagne del Tauro in Turchia, dove Heritage Vines of Turkey è impegnata nella salvaguardia di vecchi vigneti sull’orlo dell’estinzione, ai villaggi dei distretti di Shamakhi e Ismailli, in Azerbaigian, dove a quote comprese tra i 700 e gli 800 metri sul livello del mare, si coltiva l’uva madrasa, Presidio Slow Food, per finire in Abruzzo, dove la Comunità dei viticoltori teatini è impegnata nel portare avanti e promuovere valori legati all’artigianalità della produzione e alla sostenibilità ambientale e sociale.

ALL’INTERNO DELL’ARENA ANCHE ALCUNI appuntamenti per mettere a fuoco alcuni dei temi portanti di questa edizione insieme ad alcuni dei massimi esperti del settore. Tra i protagonisti ci sono Adriano Zago, consulente e formatore, fondatore e direttore di Cambium formazione, primo master internazionale in biodinamica per il vino e vignaiolo (lo abbiamo intervistato qui a fianco), e Lydia e Claude Bourguignon, microbiologi dei suoli e vignaioli che da oltre 30 anni aiutano i vigneron a curare i loro terreni. Grazie al loro intervento viene approfondito il concetto di suolo sano, tra fertilità e rigenerazione, ma anche i fattori che determinano il terroir di differenti produzioni agricole, quali la biodiversità microbica, le sue caratteristiche geologiche e i suoi nutrienti.

«IL SUOLO E’ IN GRANDE PERICOLO. L’emergenza ambientale che lo riguarda è fra le più sottovalutate. Il 70% di tutti i suoli europei – ricorda Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia – è in uno stato di cattiva salute a causa delle attuali pratiche di gestione, dell’inquinamento, dell’urbanizzazione e degli effetti del cambiamento climatico. Anche l’agricoltura ha le sue responsabilità. Pratiche agricole senza criterio e monocolture intensive hanno accelerato il fenomeno del degrado e dell’erosione quando, invece, il ruolo naturale dell’agricoltura dovrebbe essere quello di restituire al terreno ricchezza e fertilità biologica. Il suolo, come il cibo, deve essere considerato un diritto da garantire a tutti invece che una merce di scambio che sempre più spesso trasforma terreni agricoli e naturali in aree artificiali».