Ulrich Seidl: «La mia Rimini d’inverno è una canzone di Richie Bravo»
Intervista Il regista austriaco racconta il nuovo film in sala domani. Un musicista tramontato per pensionate tedesche, i rimossi famigliari, una storia «fuori stagione»
Intervista Il regista austriaco racconta il nuovo film in sala domani. Un musicista tramontato per pensionate tedesche, i rimossi famigliari, una storia «fuori stagione»
Presentato in concorso alla scorsa Berlinale, Rimini il nuovo film di Ulrich Seidl arriva in sala domani, nel frattempo il regista austriaco ha già girato Sparta che dovrebbe esserne il secondo capitolo, al centro del quale troviamo il fratello minore del protagonista di Rimini, Richie Bravo (interpretato da Michael Thomas, che era già in Import/Export e in Hope, terzo episodio della trilogia Paradise), un cantante decaduto che vive di espedienti nel suo villone italiano in Riviera memoria di un tempo più felice. «A legare questi due personaggi c’è la fuga dal passato, entrambi vogliono seppellirlo e invece si ripresenta a stravolgere le loro vite» dice Seidl. Se Sparta si svolge in Romania, Rimini come appunto suggerisce il titolo, dopo una breve parentesi famigliare in Germania – il funerale della madre di Bravo – ci porta nella città di Fellini, niente spiagge, ombrelloni, esuberanze giovanili però: la Rimini in cui si muove Richie Bravo è quella invernale di balere e serate per pensionate tedesche, sue appassionate fans, che applaudono i suoi concertini, e alle quali l’uomo offre talvolta sesso a pagamento. Poi bar e alberghetti, la nebbia e il freddo, un’immagine fantasmatica in cui si muovono ombre, i migranti che la popolano, alla ricerca di un rifugio caldo. Richie col suo cappottone di pelliccia sul corpo un po’ cadente e il repertorio Schlager troppo sentimentale ha un discutibile carisma fuori stagione. Il suo «castigo»? La figlia Tessie, che riappare durissima condannandolo per la sua indifferenza, per non essersi mai occupato di lei, della madre, e chiede soldi che l’uomo non ha. Lei ha ragione eppure non si può che stare dalla parte di lui.
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«Safari», la registrazione dell’atto di uccidere come intrattenimentoChe personaggio è per lei Richie Bravo?
Doveva essere soprattutto qualcuno che potesse piacere agli altri, al quale nonostante i suoi difetti gli spettatori uomini o donne potessero sentirsi vicini. Se fosse stato una figura detestabile o respingente il risultato del film era molto meno interessante. Richie è un po’ come le vecchie canzoni che interpreta con assoluta autenticità e che parlano di vere emozioni, a cui il suo pubblico può relazionarsi. Canta desideri insoddisfatti, il dolore, le lacrime e le delusioni romantiche che chi lo ascolta prova. Volevo che apparisse vero, reale in ogni gesto, come quel mondo in cui si muove che è attraversato da una profonda solitudine. Se si pensa alle scene di sesso: cosa cercano le donne in Richie se non sentirsi meno sole? E così lui. Per questo ho voluto dargli un tono molto realistico nel quale entrambi hanno la stessa importanza all’interno dell’inquadratura. Vogliono tutti un po’ di felicità ma questa ricerca non ha successo.
Ha scelto Rimini una città carica di immaginario, la città di Fellini qui invernale nebbiosa e con la neve. Cosa l’ha portata lì?
Ci andavo in vacanza da ragazzino coi miei genitori, avevo in mente mentre scrivevo qualche sua immagine con la nebbia ma non avevo subito deciso di girare a Rimini, pensavo all’Adriatico ma non a una città specifica. Non ho mai considerato però la sua versione estiva, preferisco l’inverno rispetto alla spiaggia con migliaia di persone appiccicate tra loro sotto al sole. Mi piaceva l’idea di arrivare in un luogo immerso in un’ atmosfera opposta a quella con cui si mostra di solito, e che si accordava a questa storia. Richie sa che la sua carriera è finita; la sua unica possibilità è di mettere in scena spettacoli nella stagione morta per un piccolo gruppo di fan. Un posto deserto come quello ha un potere speciale, emana una malinconia che fa pensare. La neve è stata un colpo di fortuna, non accadeva a Rimini da decenni, è stato un vero regalo a cui non potevo rinunciare.
Villa Bravo, la casa di Richie, la cantina dei genitori in Germania: la sua narrazione vive spesso lungo questo bordo tra interni e esterni.
I miei film sono un racconto visivo, è molto importante per me il linguaggio delle immagini. Ogni scena implica scelte decise di location, luce, colori. Molti aspetti del personaggio di Richie arrivano da intuizioni di Michael Thomas, per esempio è stato lui a trovare in un mercatino il cappotto di pelliccia che indossa, a volte un evento casuale apre un mondo. Richie Bravo non è un eroe brillante è un perdente, la sua vita è un disastro, e lui cerca di uscirne per tenere le cose sotto controllo sperando di tornare di nuovo al successo. La sua casa lo rispecchia, riflette il suo narcisismo, come ama pensarsi. E però sta crollando, andrebbe sistemata ma lui non ha abbastanza soldi per farlo. E alla fine la perderà perché il mondo cambia.
La presenza dei migranti muta nel corso del film, da ombre confuse che si nascondono nell’oscurità divengono la nuova realtà nella vita del personaggio.
Ma i rifugiati sono la realtà del nostro tempo, e nei luoghi che vivono di turismo si fa un grande sforzo per limitarne la percezione. Era importante che ci fossero e in questo modo, in silenzio ma presenti con forza. La generazione di Tessa, la figlia di Richie, ha una risposta diversa, quelli come lui sembrano indifferenti o senza alcuna fiducia.
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