Dopo l’uccisione di quattro coloni israeliani compiuta ieri pomeriggio da due palestinesi ad una stazione di rifornimento in Cisgiordania, il premier israeliano Netanyahu e il ministro della difesa Gallant sono rimasti riuniti per ore con i comandanti militari e i capi dell’intelligence (Shin Bet). Sul tavolo c’è la vasta operazione militare nel nord della Cisgiordania occupata che il governo di destra invoca da settimane e che però non convince, scrivono i giornali locali, i comandi dell’Esercito più favorevoli a una campagna di «omicidi mirati» e all’utilizzo di droni e unità speciali sotto copertura.

«Tutte le opzioni sono aperte» ha avvertito Netanyahu. Israele, ha detto il primo ministro, «ha dimostrato negli ultimi mesi che fa pagare tutti gli assassini, senza eccezioni. Chi ci fa del male è in una tomba o in prigione. Succederà anche stavolta». Urlava e protestava ieri il ministro ultranazionalista Itamar Ben Gvir che vuole l’impiego anche dell’aviazione contro i «terroristi palestinesi» e la pena di morte. Sull’altro versante, il movimento islamico Hamas, ha elogiato gli attentatori senza rivendicare l’attacco che ha spiegato come «una risposta naturale ai crimini compiuti da Israele» nelle città palestinesi.

Ieri due palestinesi, Mohanad Shehadeh e Khaled Falah, pare legati ad Hamas, sono entrati in un ristorante della stazione di servizio dell’insediamento coloniale di Eli (Nablus), e hanno ucciso tre coloni israeliani e ferito quattro persone. Quindi sono usciti e hanno colpito a morte un uomo che stava facendo rifornimento.

Un altro colono presente su posto ha aperto il fuoco ed ha ucciso uno dei palestinesi. Il secondo attentatore è scappato in auto ma, dopo circa due ore, è stato individuato ed ucciso da forze militari. In quei minuti è partita anche la rappresaglia dei coloni israeliani che, come fecero a fine febbraio, hanno preso di mira il villaggio palestinese Huwara e le località circostanti, dando fuoco a campi coltivati e edifici. La Mezzaluna Rossa ha riferito di decine di feriti, tra cui diversi ragazzi.

Dopo l’attacco armato, seguito alla battaglia di lunedì a Jenin – con sei palestinesi uccisi e 91 feriti – che ha duramente impegnato centinaia di uomini e decine di automezzi blindati israeliani, più parti danno per certa «Muraglia di difesa 2», così come alcuni chiamano l’operazione militare israeliana in cantiere perché ricorda quella avviata nel 2002 in Cisgiordania dal premier scomparso Ariel Sharon.

Nel mirino ci sono le città di Jenin e Nablus divenute nell’ultimo anno, persino più di prima, le roccaforti della lotta armata che gran parte dei palestinesi, lo dicono i sondaggi, vedono come l’unica strada per mettere fine all’occupazione militare dopo il fallimento di ogni opzione politica. I costi, se davvero sarà lanciata questa operazione di terra, saranno molto alti per i palestinesi, civili in testa, ma anche per Israele alla luce delle capacità di combattimento che stanno mostrando i gruppi armati a Jenin e Nablus.

L’analista Mouin Rabbani, direttore di Jadalliya sostiene «è ancora presto per affermare che è cominciata la lotta armata contro l’occupazione israeliana perché le azioni palestinesi sono nella maggior parte dei casi una reazione ai raid israeliani nelle città cisgiordane». Secondo Rabbani «l’unica certezza è che lo scontro aperto in Cisgiordania tra palestinesi e coloni israeliani, una milizia a tutti gli effetti, spesso impiegata a scopo militare».

All’Onu intanto prosegue lo scontro innescato dalle dure dichiarazioni fatte due giorni fa dal Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres contro l’espansione delle colonie israeliane nei Territori palestinesi occupati che ha descritto come «una violazione flagrante del diritto internazionale» e «un ostacolo significativo alla realizzabilità della soluzione a Due Stati e al raggiungimento di una pace giusta, durevole e inclusiva». «L’espansione di questi insediamenti coloniali illegali”, ha continuato Guterres, «è causa di tensioni e di violenze e aumenta in misura considerevole il bisogno di aiuti umanitari da parte della popolazione». Parole alle quali il rappresentante di Israele alle Nazioni unite ha reagito con rabbia.