Trovando un posto nel mondo con il rap di «Casablanca Beats»
Al cinema Nabil Ayouch racconta la gioventù marocchina in un film di finzione dalla forte base documentaria. I centri culturali aperti dal regista, lo scontro con gli integralisti, il musical e la danza
Al cinema Nabil Ayouch racconta la gioventù marocchina in un film di finzione dalla forte base documentaria. I centri culturali aperti dal regista, lo scontro con gli integralisti, il musical e la danza
Un uomo percorre in automobile strade ad alta velocità per poi addentrarsi in vicoli pieni di gente dove non è semplice avanzare, si perde, chiede informazioni, sta cercando un centro culturale. È arrivato a Sidi Moumen, quartiere di Casablanca. Di lui si sa, e si saprà, quasi nulla. Si chiama Anas, è un ex rapper e ha deciso di intraprendere un nuovo percorso di vita e professionale insegnando il rap a ragazzi e ragazze della periferia che già frequentano il centro seguendo altre attività formative.
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«Much Loved», sfida dei corpi a MarrakechI GIOVANI che Anas coinvolge sono parecchi, li tratta inizialmente con l’autorità del maestro, poi s’instaura fra lui e la classe una sempre maggiore complicità. Si sa anche, a completare le poche informazioni sul suo personaggio, che Anas non ha una casa, dorme nella sua vecchia auto, mangia in qualche chiosco per strada facendosi riconoscere come un estraneo del posto.
Non è invece estraneo a Sidi Moumen Nabil Ayouch che parte dal pre-testo di cui sopra per costruire la narrazione del suo nuovo film Casablanca Beats (in originale Haut et fort, era in concorso al festival di Cannes del 2021 e da oggi esce in sala). In quel quartiere il cineasta marocchino aveva già girato il suo secondo lungometraggio Ali Zaoua (2000) e vi era tornato per realizzare Les chevaux de Dieu (2012). Non solo. A Sidi Moumen, Ayouch ha creato la Fondazione Ali Zaoua con «l’intenzione di lasciare una traccia, fare nascere in Marocco dei centri culturali e offrire ai giovani la stessa opportunità che avevo avuto io quando ero piccolo», spiega il regista. Il centro che si vede in Casablanca Beats è il primo di cinque che sono stati aperti.
«CASABLANCA BEATS» è un film di finzione che parte da una solida base documentaria. Anas Basbousi è stato davvero un rapper e aveva fondato un programma di formazione hip-hop nel paese nordafricano. I personaggi degli studenti e delle studentesse hanno gli stessi loro nomi veri. E durante le riprese Ayouch ha lavorato molto sull’improvvisazione, dando degli spunti e lasciando che le cose accadessero. Il risultato è un film corale abitato dalla freschezza, dalla naturalezza con la quale si pongono davanti alla macchina da presa, di giovani che, invitati a farlo, parlano di se stessi, delle loro esperienze, instaurando un dialogo che talvolta si trasforma in scontro aperto di vedute ma che si ricompone nel nome del rap, qualcosa di più di una passione, un modo di vivere, di vedere le cose, di interpretarle. Politica, società, religione, bullismo, discriminazione, assenza di prospettive, ribellione.
Tutto converge nelle canzoni che la classe è chiamata a scrivere e a cantare e attraverso le quali si delineano le interiorità dei personaggi. Si tratta di un vero e proprio percorso di crescita e presa di coscienza, che esplode nelle scene musicali all’interno della scuola, davanti all’edificio, per strada, sul tetto del centro. Perché Casablanca Beats è anche un musical.
I numeri danzati punteggiano la narrazione, sono una sorta di intervallo, degli inserti coreografici a sospendere, come in un sogno, il realismo di quanto accade altrove (nel centro, negli ambienti domestici di alcuni dei protagonisti).
E UNO DI QUESTI numeri è un esplicito, per stessa ammissione di Ayouch, omaggio a West Side Story, quando in strada si confrontano due «bande», quella dei e delle rapper (fondamentale è la rivendicazione delle ragazze a esprimersi facendo rap) e quella degli integralisti che vorrebbero impedire quella forma di comunicazione ritenuta offensiva. E per la riuscita della quale tutte e tutti si battono. Un film pieno d’energia (le due scene con la ragazza che segue anche i corsi di danza e balla da sola sui tetti e in gruppo in un crescendo di trance tribale sono tra le migliori), dallo sguardo semplice, un po’ schematico, che ha il pregio di osare nel raccontare il Marocco odierno, nuova tappa di una filmografia coraggiosa, la cui vetta è finora rappresentata da Much Loved (2015), censurato in Marocco per via dell’argomento (si parla di prostitute) e che costò minacce di morte al regista e a un’attrice.
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