La tregua sulla giustizia, costruita sul rinvio a fine aprile degli emendamenti alla riforma del processo penale, sarà messa alla prova la prossima settimana. Le avvisaglie ieri, quando Renzi ha ripreso il tiro al giustizialismo del ministro Bonafede, come se il 5 Stelle fosse ancora in via Arenula e non fosse stato tirato via da Draghi e sostituito con Marta Cartabia. «Da che parte sta il Pd sulla prescrizione? Dalla parte del diritto o dalla parte di Bonafede? In parlamento c’è una maggioranza garantista, il Pd sta con noi o con i 5S?» ha attaccato il leader di Italia viva. «La cultura delle garanzie non si improvvisa tifando per questo o per quello – ha risposto la neo responsabile giustizia del Pd, chiamata da Letta in segreteria, la senatrice Anna Rossomando – ma si misura sul faticoso lavoro affinché sia condivisa e patrimonio comune. Suggerirei a Renzi di archiviare gli slogan e lavorare per le soluzioni».

Lo scontro sulla prescrizione non è però imminente. Proprio perché Cartabia ha affidato il dossier al gruppo di lavoro di soli tecnici guidato da Giorgio Lattanzi, illustre processualpenalista e anche lui ex presidente della Corte costituzionale. Il nervosismo dei partiti è anche frutto di questa scelta, che sembra aver sottratto alla mediazione politica quello che è uno dei punti di maggiore frizione nella nuova maggioranza extralarge. Nel corso della sua recente audizione alla camera, la ministra ha promesso che gli emendamenti alla legge delega di riforma del processo penale non caleranno in parlamento dall’alto di via Arenula. Ma non ha offerto garanzie su quel confronto preventivo con i gruppi di maggioranza che tutti i partiti hanno le chiesto.

Durante quella stessa audizione, Cartabia ha anche fatto un chiaro riferimento alla necessità che l’Italia si adegui alla direttiva del parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sul rafforzamento della presunzione di innocenza. E a quella direttiva hanno intensione di richiamarsi i deputati di Azione +Europa Enrico Costa e Riccardo Magi che hanno presentato due emendamenti alla legge di delegazione europea in discussione nell’aula della camera da martedì. Gli emendamenti puntano a fare sì che l’Italia, come chiede la direttiva, adotti degli strumenti per limitare le dichiarazioni pubbliche dei pm volte a sostenere in maniera unilaterale le tesi dell’accusa, frenare la diffusione di filmati e audio di intercettazioni ai danni degli imputati e «prevedere che alle inchieste non venga assegnata una denominazione non prevista dalle norme di legge», abitudine invece assai diffusa tra gli investigatori e che contribuisce a scardinare il principio di non colpevolezza.

Come su ogni passaggio che riguarda la giustizia, la maggioranza teorica del parlamento è sfavorevole ai 5 Stelle che presidiano il fronte sostanzialista. Ma proprio il precedente della prescrizione dimostra che né Italia viva né Forza Italia hanno interesse ad aprire subito una ferita nella neonata maggioranza. Al momento basta lasciare le polemiche verbali libere di scorrere. Come sul trojan, il «captatore informatico» già previsto dalla riforma Orlando (ex ministro della giustizia e attuale titolare del lavoro) e poi esteso nell’utilizzo dalla «Spazzacorrotti» di Bonafede – ha debuttato nella famosa indagine di Perugia su Palamara. Una sentenza del 2 marzo della Corte di giustizia europea impone di limitare l’intrusione nei dati elettronici personali ai soli reati gravi, mentre Bonafede ha incluso i reati contro la pubblica amministrazione. Forza Italia annuncia iniziative per tornare indietro e consentire il trojan solo per i reati strettamente di terrorismo o mafia. I 5 Stelle fiutano il pericolo e dichiarano in massa, accusando i colleghi di governo di voler «indebolire la lotta alla corruzione».