Tre corpi a farne uno, dentro il minuscolo fascio di luce che piove dal soffitto e trafigge il pavimento. Lo sfarfallio delle mani è anelito del volo da spiccare verso Mosca, utopica meta di queste Tre sorelle distillate dalla coralità del dramma cechoviano, a opera di Muta Imago (fino a domani al Teatro India). Sole in scena, in una disperata solitudine elevata a cifra poetica nella riscrittura di Riccardo Fazi, le tre donne – Olga, Masa e Irina – si muovono in uno spazio concluso da pesanti tende, claustrofobico. Dirette da Claudia Sorace, danno vita a una danza della memoria e del desiderio, restituendo gli assenti – il padre morto lasciandole in una remota provincia, il fratello, gli ufficiali del battaglione pronti a ripartire – mere funzioni di un meccanismo destinato a deluderle e abbandonarle.

La redazione consiglia:
Muta Imago nel mondo di Maderna IDENTICHE nell’abito, ma diverse nelle presenze sceniche, Monica Piseddu, Arianna Pozzoli e Federica Dordei creano un amalgama elastico che si aggrega e si dilata, distendendosi sulla partitura di parole e suono. Un sorriso, una speranza e ancora grida dolorose fuoriescono come singulti da quei corpi vibranti. Poi la scena si colora di un ambra rarefatto, forse l’incendio della pièce ma richiama l’humus saturato di Sonora Desert, abitato dagli spettatori che gli stessi Muta Imago bendavano e lasciavano su amache a «riposare», e il rito è compiuto. Le tre sorelle urlano la libertà di vivere e lavorare. Vanno verso il fondo ad aprire la tenda e il sol dell’avvenire abbaglia la sala.