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«Trasformare la Cisgiordania in tante piccole Gaza: è l’obiettivo di Israele»

«Trasformare la Cisgiordania in tante piccole Gaza: è l’obiettivo di Israele»Jenin, i familiari del 17enne Abdulrahman Saba'neh ucciso durante l'attacco israeliano – Ap/Nasser Nasser

Palestina/Israele Intervista all'analista palestinese Amjad Iraqi: «Ai palestinesi di Jenin o di Nablus si chiede di scegliere: espulsione o “modello Gaza”. I gruppi armati non sono una minaccia reale ma l’espressione violenta di un’opposizione di massa della società palestinese contro tutti gli agenti dell’ingiustizia subita»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 luglio 2023

«Se Israele decidesse di sgomberare completamente il campo profughi di Jenin, Stati uniti o Unione Europea potrebbero fare qualche commento sui diritti umani, ma alla fine continuerebbero a vedere questi luoghi come centri di raccolta dei «terroristi». Ai palestinesi si chiede di scegliere: espulsione o il “modello Gaza”. Sono due scelte molto dolorose».

Così Amjad Iraqi, analista del think tank palestinese al-Shabaka e del sito di informazione indipendente israelo-palestinese +972mag, commenta i due giorni di fuoco a Jenin.

Proviamo a dare un quadro di quanto accaduto negli ultimi giorni.

È stato l’apice di un’operazione militare israeliana che va avanti da più di un anno. Dal 2022 l’esercito è entrato quasi ogni settimana in città della Cisgiordania come Jenin e Nablus. Con il passare dei mesi si è assistito non solo a una maggiore resistenza da parte dei gruppi armati palestinesi contro i raid, ma anche all’intensificazione delle pratiche militari dell’esercito. Due settimane fa gli israeliani hanno fatto intervenire un elicottero Apache per lanciare un attacco aereo. E due giorni dopo ha inviato un drone. Non succedeva da vent’anni, dalla seconda Intifada. Ciò svela non solo le difficoltà che l’esercito incontra nel tentativo di fermare i gruppi armati, ma anche la disposizione a usare metodi sempre più violenti per raggiungere lo scopo. C’è una crescente frustrazione che si traduce, di nuovo, nella punizione collettiva delle città: se dicono di colpire le «infrastrutture dei terroristi», in realtà danneggiano gravemente i civili palestinesi le loro case e le loro infrastrutture.

È possibile che l’esercito decida di rioccupare Jenin come nel 2002?

È difficile dirlo. Al momento, la dottrina adottata è «falciare il prato», tagliare l’erba come fa nella Striscia di Gaza. È la stessa tattica: entrano, forse sequestrano un po’ di armi, potenzialmente assassinano un militante palestinese. Ma sanno che torneranno, ancora e ancora, che continueranno a inviare forze armate. Non credo che l’esercito abbia interesse a rioccupare questi luoghi che, secondo gli accordi di Oslo, dovrebbero stare sotto l’Autorità nazionale palestinese (Anp). Quello che fa è tentare di reimpostare le proprie politiche di occupazione nei campi profughi, ovvero usare più potenza aerea su Jenin o Nablus come mezzo per colpire i combattenti nello stesso modo in cui lo fa a Gaza. Tratterà le città della Cisgiordania come piccole Gaza.

A tal proposito, in un articolo su +972mag, lei parla di «modello Gaza», ovvero del tentativo di frammentare la Cisgiordania in bantustan da gestire come la Striscia in termini di controllo sociale, assedio, massimizzazione della popolazione in spazi minimi.

È una politica israeliana esplicita creare una separazione fisica e psicologica tra Cisgiordania e Gaza. Una politica aiutata dalle leadership palestinesi con Fatah che governa la Cisgiordania e Hamas che governa Gaza. Se hanno caratteristiche e gravità diverse, l’esercito israeliano sta iniziando ad applicare in Cisgiordania i metodi che usa a Gaza . Gaza è il bantustan definitivo, l’ultima area concentrata in cui Israele può infliggere violenza a proprio piacimento e in grado di contenere la popolazione in uno spazio minimo. L’esercito israeliano entra regolarmente nelle principali città palestinesi, compresa Ramallah, ma il modo in cui utilizza le nuove tecnologie e la guerra moderna anche in Cisgiordania è una chiara indicazione del fatto che non vede un futuro per città come Jenin e Nablus che non sia il «modello Gaza»: luoghi chiusi, falciati com’è falciata la Striscia. È la progressione del regime di apartheid di Israele.

In tale scenario, i gruppi armati palestinesi rappresentano una minaccia reale per l’occupazione? Hanno modo di proseguire senza il supporto dei partiti politici?

Ciò che definisce questi gruppi è che non sono affiliati ad alcun partito politico. Di conseguenza, sono molto decentralizzati e attirano palestinesi di diverse ideologie e provenienze, soprattutto giovani uomini che stanno crescendo senza alcuna speranza, che hanno conosciuto solo la vita nel campo profughi, una leadership palestinese che fa parte della loro oppressione, gli insediamenti, la violenza dei coloni e quella militare. È una generazione che non vede altra opzione se non quella di imbracciare le armi. Difficile che rappresentino una minaccia reale all’occupazione. Tuttavia, stanno rendendo le cose molto precarie, sia per le leadership palestinesi, perché sfidando le vecchie ideologie e i vecchi politici che cercano di mantenere il controllo sul movimento palestinese, sia per la narrazione di Israele. Il fatto stesso che ci siano attacchi rompe l’illusione che in qualche modo tutto vada bene. È questo il vero potere psicologico di questi attacchi, oltre ai danni che infliggono. Ed è questo che disturba le autorità israeliane e palestinesi che hanno un interesse comune a vedere questi gruppi domati o messi fuori gioco. Sta qui la minaccia, nell’espressione violenta di un’opposizione di massa che sta nascendo nella società palestinese contro tutti gli agenti dell’ingiustizia subita.

Negli ultimi giorni migliaia di rifugiati del campo profughi di Jenin hanno di nuovo lasciato le loro case per sfuggire alle violenze. Che impatto hanno sul popolo palestinese e il suo sentire collettivo immagini che ricordano da vicino altre espulsioni?

Le scene che abbiamo visto a Jenin dicono che l’espulsione dei palestinesi è una costante. Che si tratti di sfollati interni dopo un bombardamento a Gaza o sgomberi a Masafer Yatta o Gerusalemme est, o nel deserto del Naqab. L’attuale governo di estrema destra israeliano è molto esplicito nel dire che i palestinesi hanno due opzioni: o accettano il dominio israeliano come permanente o vengono espulsi. Negli ultimi mesi tale volontà è stata plastica: maggiore violenza militare, attacchi dei coloni ai villaggi palestinesi. Sono atti di violenza che ci sono sempre stati, ma vederli su tale scala ricorda che la Nakba è sempre in corso, che i palestinesi possono essere facilmente cacciati di nuovo e che nessuno ne chiederà conto a Israele.

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