«Io lo conoscevo bene» dice la signora della fila dietro, riassumendo l’umore che pervade la platea del Teatro Storchi di Modena. Non è solo il raggiungimento della cifra tonda a testimoniare quanto sia radicata nel territorio la manifestazione e il ricordo che si porta dietro: tanti frammenti di memoria “su e giù dal palco” sostengono l’impressione, con qualche tic di campanilismo (l’ovazione per il concorrente reggiano Marco Arati, gli sponsor che monopolizzano lo schermo alle spalle dei musicisti, le battute del presentatore Andrea Barbi) e soprattutto con il desiderio di attualizzare una scena musicale che tutto è stata, in passato, fuorché provinciale. Dopo un sabato sera appannaggio di Neri Marcoré, che ha rivisitato i brani di Pierangelo Bertoli con Alberto, figlio di quest’ultimo e direttore artistico del Premio assieme a Riccardo Bennini, la serata finale di questa decima edizione si è proposta come cartina di tornasole del cantautorato italiano del passato recente e del futuro prossimo, ulteriormente “legittimata” in tal senso dal nuovo patrocinio del Club Tenco. Al quale da quest’anno è riservata una quota in giuria, il cui piccolo ma indicativo canone è espresso dagli artisti che si avvicendano sul palco nel giorno in cui il cantautore di Sassuolo avrebbe compiuto ottantuno anni. La serata finale di questa decima edizione si è proposta come cartina di tornasole del cantautorato italiano del passato recente e del futuro prossimo

TRA I BIG è Manuel Agnelli a ricevere il Premio, motivato dal critico musicale Paolo Talanca con un preciso riferimento alla stagione di quei gruppi rock «che preservavano l’indipendenza e l’autenticità della canzone»: due valori al centro del dibattito musicologico e socioculturale sin dai tempi della scuola genovese e che nel verdetto dei giurati si trovano contrapposti «alle sirene dei click della rete e dalla liquidità di oggi». Prima dell’ex Afterhours, tre premi di categoria intitolati da altrettante canzoni di Bertoli — A muso duro, Italia d’oro, Per dirti t’amo — e assegnati rispettivamente a Mario Venuti, Noemi e Fulminacci. Ancor più rilevante, per il termometro della nuova canzone nazionale, è la scrematura che ha selezionato otto finalisti dall’iniziale migliaio di concorrenti. Scrittura, postura e performance dei giovani interpreti segnalano un indirizzo inequivocabilmente pop, distante tanto dalla trap quanto dal rock anni Novanta di Agnelli e Venuti: la loro iconografia chitarristica appare quasi fuori contesto considerando che, a parte i cantanti-pianisti Pier e Marco Sforza, nessun altro dei giovani si accompagna personalmente allo strumento, lasciando alla band che fu di Pierangelo Bertoli l’onere del supporto musicale. Complice la platea e lo smoking di Barbi, tutto è avvolto in un’atmosfera assai sanremese, particolarmente pregnante in Due mondi di Micci e in Proiettile bambina, che vale il primo premio al trevigiano Emanuele Conte (anche per lui un bel regalo di compleanno): nei loro ritornelli a braccia aperte si convoglia la linea che dal Modugno del 1958 arriva dritta al Marco Mengoni del 2023. Quali saranno le sue prossime destinazioni?