Zittire gli altri è incivile e indice di maleducazione, tipicamente fascista; la ministra è stata zittita; quindi i contestatori sono fascisti. Un sillogismo che sovrappone le differenze di ruolo e di potere.

Una sintesi e un sillogismo che sovrappone in modo del tutto indebito le differenze tra le “buone maniere” che regolano i rapporti tra pari e l’asimmetria che caratterizza i rapporti verticali, tra chi ha un ruolo istituzionale e/o di potere e chi invece non ce l’ha. Trasporre alla partecipazione politica e sociale – ma lo stesso discorso varrebbe per ogni contesto caratterizzato da rapporti asimmetrici, come i luoghi di lavoro – le regole che valgono dove i rapporti sono tendenzialmente paritari, è indice di un senso comune cresciuto nell’idea della “società orizzontale”.

Complice la crescente disintermediazione politica e tecnologica degli ultimi decenni, l’organizzazione sociale ha avverato la profezia di Norbert Elias sulla società degli individui. Una società senza ruoli e strutture, senza rapporti verticali, priva di asimmetrie di potere. Una società disintermediata e che restituisce l’illusione del controllo diretto. Dove tutto deve avvenire come in una conversazione tra amici, con garbo e senza interruzioni. Ascoltando e poi ribattendo. La ministra sarebbe così una persona qualsiasi: una come noi che ha gli stessi diritti di parola delle persone ordinarie.

Non è così: Roccella è la rappresentante di un potere istituzionale e come tale deve aspettarsi fischi e contestazioni. Deve aspettarsi cioè l’esercizio di un potere da parte chi ne ha meno di lei. In un contesto tra “pari”, poniamo nel Parlamento o in un consesso internazionale con altri ministri, Roccella non sarebbe dovuta essere contestata in quelle forme. Non a caso, quando ciò accade, la seduta parlamentare viene sospesa. La contestazione rumorosa che impedisce di parlare non è adeguata a quel contesto. Ma non è questo il caso del Salone del Libro, come di qualsiasi altro luogo dove il confronto è tra persone e ruoli con poteri asimmetrici, risorse incommensurabili e opportunità di far valere la propria voce del tutto diverse.

La contestazione pubblica e le forme di partecipazione politico-sociale fanno da sempre ricorso a questo tipo di tattiche, che provocano un disagio o un danno a chi le subisce. Dai picchetti, ai boicottaggi, ai blocchi stradali, a tutte le forme del conflitto sociale non violento, le democrazie hanno sempre funzionato convivendo con queste espressioni di partecipazione.

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Derubricare tutto a una manifestazione di fascismo ribalta esattamente la verità: il fascismo è quel regime che ammazza il conflitto sociale, che nega la contestazione come arma di dissenso e che usa la forma (educazione, decoro, ordine) contro la sostanza. La mistificazione è duplice: l’accusa di inciviltà si traduce in quella di fascismo, rovesciando in modo speculare i termini della questione.

La stagione politica che viene definita come “neoliberale” – dagli anni ’80 fino ai giorni nostri e con intensità e modelli diversi da Paese a Paese – si è accompagnata alla contrazione degli spazi pubblici che danno forma alle nostre interazioni come cittadini quotidiani. Non solo quindi come consumatori, famigliari, amiche al ristorante o in vacanza, lavoratrici o socie di un’impresa, ma come persone che compiono azioni di cittadinanza. La contrazione degli spazi pubblici ha ridotto il repertorio di ruoli di cittadinanza a nostra disposizione.

Quante opportunità o ruoli di cittadinanza ci offre, oggi, lo spazio pubblico? Quanto spesso abbiamo occasione di sperimentarci, insieme ad altri, in azioni pratiche e aperte dove le nostre necessità trovano soluzioni che chiamano in causa gli assetti sociali più generali e i bisogni degli altri? Solo se esistono opportunità di questo tipo dove i bisogni individuali, qui e ora, si articolano in soluzioni collettive, si danno le condizioni minime per la domanda per un futuro più giusto. Dove, cioè, un legittimo problema/bisogno/interesse – lavorativo, abitativo, di salute, di qualità della vita – può tradursi in una soluzione che coinvolge idee, valori e meccanismi di funzionamento collettivi e orientati a principi di giustizia sociale.

Chi governa fa scelte che hanno conseguenze sulla vita delle persone e deve mettere in conto che la conseguenza di queste scelte sono anche il conflitto e la rabbia. Tanto più quando il contenuto della decisione politica riguarda i corpi delle persone e la loro quotidianità. Non farlo e schermarsi dietro il “non ho potuto parlare”, vuoi per incapacità o vuoi per tatticismo, denota inadeguatezza rispetto al ruolo. I fischi e le contestazioni sono il “pane e burro” di una politica che si confronta negli spazi fisici della sfera pubblica, dalle piazze ai luoghi della cultura, al di fuori dalle aule istituzionali. Almeno dovrebbe essere così per chi è all’altezza di quel compito e ruolo. Cosa che non si può sostenere a proposito della ministra Roccella.

(Twitter: @FilBarbera)