Terre indigene, da Lula un veto soltanto parziale
Marco Temporal La sfida impossibile del presidente: garantire i popoli originari senza scontrarsi con la poderosa lobby "ruralista". Che ha i numeri per ribaltare il veto in parlamento
Marco Temporal La sfida impossibile del presidente: garantire i popoli originari senza scontrarsi con la poderosa lobby "ruralista". Che ha i numeri per ribaltare il veto in parlamento
Per Lula era una sfida impossibile: schierarsi con i popoli indigeni senza inimicarsi più del necessario la bancada ruralista, la potentissima lobby dei latifondisti al Congresso. Che il presidente avrebbe posto il veto sul progetto di legge 2903, noto come «Pl del genocidio» – approvato in tutta fretta dal Senato il 27 settembre in risposta alla bocciatura della tesi del marco temporal da parte della Corte suprema – non c’erano dubbi. Ma era sulla natura di tale veto – totale come chiedevano gli indigeni o parziale come volevano i ruralisti – che si erano concentrate le aspettative di tutti. E ciò alla luce di un dato incontrovertibile: che il Congresso ha la facoltà – e i numeri – per ribaltare il veto presidenziale, mirando a una resa dei conti finale con la Corte suprema.
Ed è proprio per questo che Lula era incerto: cosa concedere alla bancada ruralista per indurla ad accettare un veto parziale, senza con questo voltare le spalle ai popoli originari? Da qui il tentativo portato avanti venerdì dal presidente: respingere la sostanza del Pl 2903, salvando però alcuni punti a suo dire più digeribili. Ecco allora la bocciatura della tesi del marco temporal – il limite temporale già dichiarato incostituzionale dal Supremo tribunale federale (Stf): in sostanza, sono terre degli indigeni solo quelle da loro possedute dopo l’approvazione della Costituzione del 1988 – e di altri punti non meno letali, dalla coltivazione di specie transgeniche in aree indigene alla costruzione di grandi opere di infrastruttura senza il consenso delle comunità interessate fino alla flessibilizzazione delle misure di protezione nei confronti dei popoli in isolamento volontario.
MA, DALL’ALTRO lato, Lula ha salvato due articoli ritenuti assai pericolosi dall’Apib, l’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil: quello relativo al via libera alla cooperazione tra indigeni e non indigeni per la realizzazione di attività economiche – con il conseguente rischio di incrementare l’assedio ruralista alle terre dei popoli originari – e quello mirato a conciliare l’usufrutto esclusivo del loro territorio con le politiche di difesa e di salvaguardia della sovranità nazionale, con relativa giustificazione di eventuali interventi militari.
È TUTTO DA VEDERE, però, se il tentativo di conciliazione del presidente – nel più perfetto stile “lulista” – abbia reali chance di successo. Perché se Lula non ha accolto la richiesta di un veto integrale avanzata dai popoli indigeni e dai loro alleati – consapevoli del più che probabile ribaltamento in sede parlamentare ma fiduciosi riguardo all’intervento della Corte suprema – non esiste alcuna garanzia che il Congresso, dominato dall’agribusiness, si accontenti di quelle che potrebbero sembrargli briciole.
La partita, insomma, è ancora aperta: i veti parziali del presidente saranno ora analizzati e votati dalle Camere in sessione congiunta, che decideranno se accettarli, ritirando dalla legge le parti bocciate, o se ripristinare il testo votato dal Senato il 27 settembre, preparandosi allo scontro con il Stf a cui spetta l’ultima parola. Quello scontro che Lula avrebbe cercato inutilmente di scongiurare.
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