Internazionale

Tavaroli: “Ma questi controlli non hanno fermato il terrorismo”

Intervista L’ex responsabile sicurezza Telecom: «Sorvegliare la rete può essere utile, ma non ha impedito la nascita di Al Qaeda e l’11 settembre»

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 2 luglio 2013

«Ci siamo distratti un attimo». Prego? In che senso? «Nel senso che negli ultimi dieci anni la tecnologia ha superato a velocità tripla tutti quelli che erano gli anticorpi ordinativi della nostra società. Mi sembra che questa vicenda Datagate dichiari come in generale l’ordinamento, l’etica e la capacità di controllo del cittadino, ma anche la politica, non siano più in grado di gestire un sistema così complesso come la tecnologia ha saputo costruire». Giuliano Tavaroli, ex responsabile sicurezza di Telecom, nel 2005 è stato indagato dalla procura di Milano per l’uso di notizie riservate. Oggi che quella vicenda è completamente chiusa, lavora come consulente strategico per la sicurezza e l’analisi dei rischi.

Tavaroli, sta dicendo che la tecnologia è ormai così evoluta che le norme che dovrebbero controllarla non sono più sufficienti.
E’ talmente difficile… quando mi chiedono di cosa sono appassionato io rispondo che la mia passione è il crocevia tra tecnologia, innovazione, informazione e potere. Questo è il mio delirio. Le faccio un esempio: quando venti anni fa io e lei aprivamo il cofano di una macchina, sapevamo esattamente cosa stavamo guardando. Oggi lei è in grado di farlo? L’elettronica, le macchine che parlano, il Gps. Oggi sono davvero poche le persone in grado di comprendere la tecnologia che utilizziamo e che sicuramente è al nostro servizio, ma che è anche in grado di analizzare e concentrare masse enormi di dati.

Tutto questo lo trova plausibile?
Lo trovo certo. Poi la vera domanda è: di chi sono le informazioni che io fornisco a un server che sta negli Usa?

Stiamo parlando di Google?
Google, Facebook, Whatsapp, Twitter: noi mica governiamo la sovranità. Guardi ho trovato un aforisma bellissimo che dice: «se ciò che io uso è gratis, vuol dire che anche io sono un servizio», vale a dire: se ciò che faccio è gratis, vuol dire che quello che è in vendita sono io. Noi attribuiamo volontariamente informazioni personali che poi gli organismi di sicurezza utilizzano, fanno quella che viene chiamata un’analisi a strascico in tempo reale o successivamente, perché è tutto registrato.

Gli Usa si difendono dicendo che la gran massa di dati raccolti in realtà resta lì senza che nessuno la controlli, salvo casi eccezionali.
Già ma c’è una vecchia regola che dice chi controlla i controllori? C’è una legge che si chiama Fisa, Foreign intelligent surveillance act, che permette agli Usa di raccogliere per motivi di sicurezza informazione sui cittadini stranieri che hanno relazioni con gli Usa. Diciamo che va bene perché oggi c’è Obama. Se però io questi dati li conservo all’infinito, come stanno facendo tutti, che succederà in futuro? Il grande tema è infatti lo storage dei dati. Noi in Europa diciamo: discutiamo del diritto all’oblio: se io ho detto una fesseria dieci anni fa, perché mi deve essere sempre rinfacciata? Google ha risposto dicendo: non è un mio problema. I data center si preparano a rendere praticamente permanente tutto quello che combiniamo.

Ma tutto questo serve davvero a combattere il terrorismo?
Ci sono due filosofie, quella degli Stati Uniti che hanno sempre fatto grande affidamento sulla loro struttura burotecnica e quella dell’Europa, convinta che il terrorismo vada combattuto con strumenti di polizia sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria. Diciamo che il metodo americano serve perché il terrorismo oggi ha una dimensione importante anche dal punto di vista della comunicazione, del proselitismo fatto in rete. Il problema è chi controlla la verticalizzazione dei dati. Perché noi parliamo di controlli contro la pedofilia, il terrorismo, l’estorsione, ma se poi ci aggiungo il mio traffico telefonico e le carte di credito, allora rimane poco di potenzialmente inesplorato nella mia identità digitale.

Però non mi ha risposto. Serve tutto questo controllo a combattere il terrorismo o no?
Certamente è utile, peccato che poi tutte queste informazioni vangano utilizzate anche per competizione economica.

E il prezzo che si paga non ne vale la pena.
E’ difficile da dire. Negli anni 90 gli Stati uniti decisero che l’intelligence tradizionale non serviva più e fecero un grande investimento su tutto quello che era tecnologico e satellitare. Questo non ha prevenuto la nascita di Al Qaeda, i primi attentati alle ambasciate Usa in Africa e poi quello tremendo dell’11 settembre.

Siamo vittime predestinate.
Quanto meno siamo vittime predestinate del mercantilismo delle nostre vite, questo è sicuro.

Secondo lei l’Italia potrebbe aver collaborato nel trasmettere dati agli Usa?
(ride) Io credo che gli Usa non abbiano bisogno dell’Italia.

Quando lei lavorava per Telecom ha avuto pressioni per passare informazioni agli Stati uniti?
Ma no, tantomeno agli americani, ma neanche alle nostre istituzioni, anche perché allora era tutto abbastanza regolato.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento