Economia

Svizzera, la caduta delle illusioni

Svizzera, la caduta  delle illusioni

Guerre monetarie Il caso elvetico è un brutto colpo per le politiche monetarie delle banche centrali

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 17 gennaio 2015

Per una coincidenza più o meno felice nello stesso giorno accadono ben due eventi che riguardano la Svizzera, paese che di solito non fa notizia.

Mentre viene dato l’annuncio di un cambiamento di politica per quanto riguarda il rapporto tra il franco e l’euro, si apprende anche che è stato raggiunto l’accordo fiscale italo-elvetico.

Tra le due notizie c’è una debole, ma simbolica connessione. Ricordiamo intanto che l’accordo fiscale è stato firmato dopo tre anni di trattative e che per la sua entrata in vigore ne passeranno altri due.

Così gli evasori hanno avuto il tempo di sistemare le loro cose e ne avranno ancora, anche perché si prevede che la Svizzera fornirà informazioni sugli atti compiuti dai nostri meritevoli concittadini solo dopo la firma dell’accordo stesso. Del passato nessuno saprà nulla.

Ma ecco il collegamento tra i due eventi: gli stessi evasori, grazie alla forte rivalutazione del franco, se proprio hanno ancora dei soldi in Svizzera, ottengono un bel gruzzolo da utilizzare per pagare le eventuali penalità fiscali previste.

E veniamo ai problemi del cambio.

La banca centrale elvetica, nel settembre del 2011, per mettere sotto controllo un rilevante afflusso di capitali esteri attratti da una moneta giudicata non a torto forte, decide di fissare il cambio franco-euro al livello di 1,2, difendendolo eventualmente con l’acquisto anche massiccio di altre valute.

Ma il gioco diventa presto difficile. Nonostante il ricorso a tassi di interesse negativi sui depositi, la banca centrale deve intervenire presto per far fronte all’afflusso di capitali dall’estero. Così, la caduta globale dei tassi di interesse, la riduzione nei prezzi delle materie prime e, in ultimo, del petrolio, la crisi ucraina con il conseguente crollo del rublo, sono tutti eventi che spingono gli investitori a puntare sulla moneta elvetica. Le riserve della banca centrale si gonfiano così a dismisura e le autorità monetarie non ce la fanno più a gestire la situazione.

Il colpo finale è dato dal prossimo programma di quantitative easing della Bce, che prelude per i mercati ad un’ulteriore svalutazione dell’euro e che spinge gli investitori a fuggire dalla moneta unica. A questo punto la banca centrale svizzera è costretta a mollare l’ancoraggio alla valuta europea e il franco si rivaluta del 15% nei confronti dell’euro in una sola giornata.

Ovviamente tale rivalutazione è un colpo duro per le imprese esportatrici e per il turismo e infatti i rappresentanti di tali categorie hanno subito avanzato delle fortissime rimostranze. Qualcuno teme che ne seguiranno sino a centomila licenziamenti.

Cosa succederà agli interessi italiani toccati dalle vicende? Intanto i nostri lavoratori frontalieri vedono da un giorno all’altro un aumento dei loro salari, ma molti di essi potrebbero essere peraltro colpiti dai licenziamenti sopra ricordati.

Le imprese italiane che si erano trasferite in Svizzera attratte dalla stabilità e dall’efficienza del paese vicino subiscono un duro colpo. Le loro esportazioni verso la zona euro, che costituiscono di solito la gran parte delle loro vendite, rincarano fortemente. Il caso suggerisce peraltro riflessioni di maggiore portata. Intanto, come ha sottolineato la stampa economica internazionale, è stato dato un colpo non da poco alla fiducia dei mercati nella politica monetaria svizzera, da sempre ritenuta molto affidabile; questa volta nessuno si aspettava la mossa e i mercati da ora in poi si faranno molto più diffidenti. La decisione è stata definita, di volta in volta, come violenta, scioccante, straordinaria, totalmente inaspettata. Tanto più che proprio poco tempo fa la banca centrale aveva categoricamente escluso delle manovre sul cambio. Un aspetto per noi tutto sommato positivo della mossa svizzera è rappresentato dal fatto che molti speculatori, essendo stati presi di sorpresa, hanno perso abbastanza soldi.

Si accentua, d’altra parte, il disordine dei mercati finanziari e valutari, che non trovano pace dopo lo scoppio della crisi nel 2008. Ne soffrono le monete meno importanti schiacciate da quelle più forti come il dollaro e l’ euro, che, tra l’altro, mandano segnali contradditori e del tutto disorientanti.

Gli Usa tendono così, in questo momento, ad aumentare i tassi di interesse e a seguire una politica monetaria più restrittiva, mentre l’economia reale sembra in ripresa. Invece la Bce allarga i cordoni della borsa e tiene i tassi di interesse al livello più basso possibile, mentre l’economia dell’eurozona affonda nella stagnazione e nella deflazione.

Viene anche confermata, e questa è forse la lezione più importante che si può trarre dal caso, la caduta dell’illusione, avanzata negli Usa e in Europa dopo la crisi, che le politiche monetarie delle banche centrali possano sostituirsi alle politiche economiche, che dei governi impotenti o in difficoltà non sono in grado di portare avanti. Anzi viene confermato persino che le banche centrali non sono in grado di influire adeguatamente sugli stessi livelli di cambio delle loro monete.

La lezione è dura soprattutto per l’eurozona, nella quale l’attivismo felpato di Draghi non riesce a sostituirsi a dei provvedimenti che solo i politici potrebbero prendere, mantenendo così i vari paesi in una situazione di precarietà. L’intervento promesso di acquisto di titoli pubblici appare poi, sul piano quantitativo, largamente al di sotto delle necessità; bisognerebbe mettere sul piatto almeno 2000 miliardi di euro invece dei 500 previsti. Ma la Germania non lo permetterà mai. Peraltro la stessa mossa svizzera mostra tutti i limiti dell’azione della stessa Bce.

Non si vedono purtroppo all’orizzonte quelle politiche pubbliche che puntino a spingere la domanda, incoraggiando i consumi e gli investimenti, e che affrontino contemporaneamente i problemi dell’eccessivo indebitamento pubblico e privato. Il piano Juncker appare un ben misero sostituto di tali politiche.

Continuano infine a mancare del tutto delle politiche coordinate a livello mondiale per mettere in qualche modo sotto controllo i movimenti di capitale speculativi a breve termine, all’origine di tanti e gravi problemi.

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