«Sull’omicidio di Daphne manca ancora la verità»
Intervista A due anni dall’assassinio della giornalista maltese non si è fatta chiarezza, il mandante resta sconosciuto. Parla la sorella Corinne Vella: «Magistratura ed esecutivo si sono rivelati inadeguati. Anche le nomine dell’inchiesta pubblica non sono imparziali. Se Malta fosse uno Stato ben funzionante, sarebbe viva»
Intervista A due anni dall’assassinio della giornalista maltese non si è fatta chiarezza, il mandante resta sconosciuto. Parla la sorella Corinne Vella: «Magistratura ed esecutivo si sono rivelati inadeguati. Anche le nomine dell’inchiesta pubblica non sono imparziali. Se Malta fosse uno Stato ben funzionante, sarebbe viva»
L’ultimo post pubblicato da Daphne sul suo blog Running Commentary risale alle 14,35 del 16 ottobre 2017. Riportava la testimonianza di Keith Schembri, allora capo di gabinetto del governo laburista maltese, il quale si difendeva dalle accuse di corruzione. Dopo 23 minuti dalla diffusione in rete di quel post, Daphne Caruana Galizia sale in macchina. Una peugeot 108 affittata soltanto qualche giorno prima e imbottita di tritolo dai suoi assassini. Un attentato in pieno stile mafioso che rievoca alla mente il periodo stragista (1992-1993) durante il quale persero la vita i giudici Falcone e Borsellino. Oggi, a distanza di due anni, i figli Matthew, Andrew e Paul, insieme alla loro zia Corinne e agli altri membri della famiglia si battono per far luce sui mandanti di quel brutale assassinio. Da mesi la giornalista maltese stava lavorando ai documenti dell’inchiesta giornalistica Panama Papers riguardanti casi di corruzioni tra leader politici e società offshore. «La natura della corruzione politica è che finché c’è impunità la storia continua a evolversi e il pericolo aumenta» dice Corinne Vella prima di iniziare la nostra chiacchierata.
Sua sorella era a conoscenza del pericolo che correva? Vi ha mai detto qualcosa?
Negli ultimi anni c’è stata un’escalation di ostilità nei confronti di Daphne. Prima che fosse assassinata aveva ricevuto varie molestie e intimidazioni. Il numero e la frequenza dei casi di diffamazione contro di lei dimostrano che c’è stata una campagna orchestrata per cercare di screditarla. Il partito al potere ha messo il suo volto su un cartellone pubblicitario della campagna elettorale, rendendola un obiettivo. Ma anche i funzionari governativi si sono accordati con varie corporazioni per farla tacere. Infatti, Daphne aveva scoperto che il primo ministro maltese Joseph Muscat, insieme ad altri membri del governo tra cui Keith Schembri, Owen Bonnici e il capo di un’autorità statale Jonathan Cardona, si erano accordati con Christian Kaelin della società Henley&Partners, per minacciarla con una pesante azione diffamatoria.
Daphne vi parlava spesso del suo lavoro?
Quando Daphne aveva informazioni che era disposta a condividere le pubblicava sul suo blog Running Commentary. Sia che i suoi post fossero lunghi e dettagliati sia che fossero solo un paio di righe, avevano un senso di immediatezza che diventavano parte del dibattito pubblico. Quindi sì! In un certo senso abbiamo parlato delle sue indagini, tutti l’hanno fatto. Normalmente, però, Daphne non discuteva le informazioni ottenute in via confidenziale. Le sue fonti si fidavano di lei perché sapevano che non le avrebbe mai tradite. Morì proteggendole.
Quali erano le ultime inchieste a cui stava lavorando?
Stava seguendo diverse storie importanti quando è stata uccisa. Daphne ha raccontato delle vendite dei passaporti dei funzionari governativi citati nei Panama Papers. Ha scritto della Pilatus Bank, la lavanderia a gettoni per funzionari statali corrotti in Azerbaijan e altrove, autorizzata a operare a Malta. Ha raccontato la corruzione all’interno di alcuni progetti sostenuti dal governo come la privatizzazione di vari ospedali pubblici maltesi. Ha denunciato la corruzione nel settore energetico e l’impunità di cui godono non soltanto i funzionari governativi ma anche i loro associati. È stata la prima a individuare la 17 Black, una società degli Emirati Arabi Uniti (che, secondo il Corriere di Malta avrebbe versato mazzette per 2 milioni di euro nei conti dei ministri Keith Schembri e Konrad Mizzi, ndr) il cui proprietario è stato successivamente identificato dai giornalisti del progetto Daphne. Poco prima dell’assassinio, Daphne aveva ricevuto una serie di documenti riguardanti Electrogas, la società che gestisce il progetto della centrale elettrica. Ci sono incredibili connessioni fra tutte queste storie.
Oggi, due anni dopo, sono state arrestate tre persone per l’assassinio di Daphne. Ciononostante, il mandante è ancora sconosciuto. Il governo maltese, su spinta de Consiglio d’Europa ha aperto un’inchiesta pubblica per capire cosa sia successo. Voi, però, non siete d’accordo con le nomine della Commissione d’inchiesta.
È responsabilità della polizia e della magistratura identificare tutte le persone coinvolte nell’assassinio di Daphne. L’indagine pubblica è un processo separato che ha uno scopo diverso, ovvero capire come e perché lo Stato non ha protetto la vita di Daphne e se si tratta di complicità, fallimento istituzionale o semplice negligenza. Proprio per questo l’inchiesta pubblica deve essere indipendente e imparziale. Quando il governo ha designato gli individui della commissione d’inchiesta, le ong per la libertà di stampa e i cittadini hanno espresso preoccupazione circa l’imparzialità e i conflitti di interesse dei membri proposti. Abela Medici è un dipendente pubblico, Ian Refalo è un consulente di vari istituti statali e governativi, e i suoi clienti includono enti e individui che la commissione d’inchiesta dovrebbe esaminare. L’inchiesta pubblica non serve solo a garantire giustizia per Daphne. Malta ne ha bisogno perché è l’unico modo per capire come proteggere i giornalisti a rischio. Il giornalismo è essenziale per una democrazia funzionante, non dovrebbe essere una condanna a morte.
Vi sentite sostenuti dalle istituzioni politiche e giuridiche maltesi?
La magistratura e l’esecutivo si sono rivelati inadeguati. Lo Stato ha l’obbligo di tutelare i propri cittadini, Daphne è stata uccisa e noi, la sua famiglia, siamo stati costretti a intentare una causa per garantire la tutela dei nostri diritti. Mi chiede se ci sentiamo sostenuti dalle istituzioni maltesi quando sono esse stesse il problema. Se Malta fosse uno Stato ben funzionante, Daphne sarebbe viva.
Il 14 dicembre ha partecipato a un evento della Federazione Nazionale Stampa Italiana. Quel giorno ha ribadito la necessità di un’inchiesta internazionale sull’omicidio di Daphne…
Il sostegno internazionale è la ragione per cui l’assassinio di Daphne non è stato liquidato semplicemente come un altro omicidio irrisolto e irrisolvibile. La risoluzione adottata dal Consiglio d’Europa nel giugno scorso dimostra chiaramente che l’assassinio di Daphne è una questione che riguarda tutta l’Europa. Giustizia per Daphne significa giustizia per il crimine del suo assassinio e per i crimini da lei denunciati. Questo non è importante solo per la nostra famiglia, ma anche per l’Europa. Se dei criminali se la cavano assassinando una giornalista nessun altro è al sicuro.
Infatti negli ultimi anni molti giornalisti sono stati uccisi in Europa tra cui: il saudita Kashoggi, il bielorusso Pavel Saramet e la bulgara Viktoria Marinova. Quasi tutti stavano indagando su importanti casi di corruzione nazionale. Le tangenti in Europa circolano con estrema facilità, ma denunciare e scriverne è ancora più pericoloso…
Sì, è così. Il World Press Freedom Index mostra che la libertà di stampa si sta deteriorando. Malta è scesa di 30 posizioni negli ultimi due anni. Le statistiche raccolte dal Committee to Protect Journalists (Cpj) mostrano che il tema più pericoloso da affrontare nelle inchieste, per i giornalisti, è quello della corruzione nel loro paese d’origine. Nella maggior parte dei casi gli omicidi restano irrisolti. I dati sono allarmanti, ma non dobbiamo stupirci. Se un giornalista viene ucciso mentre indaga su un caso di corruzione e le istituzioni su cui stava indagando saranno coloro che svilupperanno le indagini del suo omicidio, c’è un chiaro problema per la giustizia e per la libertà di stampa. Per questo motivo accolgo con favore l’impegno di Vera Jourova, commissaria europea per la giustizia, a introdurre misure di protezione per i giornalisti.
Pensa che sia necessario creare un organismo europeo dedicato al contrasto alla corruzione e alla criminalità internazionale?
La criminalità transnazionale ha bisogno di soluzioni transnazionali. L’Europa sta lottando contro un problema molto complesso attraverso agenzie e autorità con poteri limitati. Si tratta di una questione che deve essere affrontata.
Giovanni Falcone diceva: «gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini». La campagna di giustizia in onore di Daphne ha un grande supporto sia in Europa che in Italia…
La nostra campagna non sarebbe potuta arrivare a questo punto senza il sostegno e il coinvolgimento di così tante entità e individui in tutto il mondo. Abbiamo avuto un grande sostegno da parte di organizzazioni italiane come Amnesty International Italia e da parte di giornalisti come Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi. Daphne, in Italia, ha ricevuto tanti premi postumi, proprio per questo ci tengo a ringraziare tutti coloro che si sono spesi per Daphne e per la libertà di stampa in generale.
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