Sulle tracce indelebili di uno spiritello sorridente
Benedetto Vecchi, un anno dopo Ricordare Benedetto a un anno dalla scomparsa evoca un vuoto fatto di tanti pieni, forse per questo ancora più grande. La sua morte, così prematura, ha lasciato tanti segni, tracce, orientamenti, percorsi. È come se ci avesse lasciato tanti cartelli stradali che portano in luoghi ancora da scoprire
Benedetto Vecchi, un anno dopo Ricordare Benedetto a un anno dalla scomparsa evoca un vuoto fatto di tanti pieni, forse per questo ancora più grande. La sua morte, così prematura, ha lasciato tanti segni, tracce, orientamenti, percorsi. È come se ci avesse lasciato tanti cartelli stradali che portano in luoghi ancora da scoprire
Ricordare Benedetto a un anno dalla scomparsa evoca un vuoto fatto di tanti pieni, forse per questo ancora più grande.
La sua morte, così prematura, ha lasciato tanti segni, tracce, orientamenti, percorsi. È come se ci avesse lasciato tanti cartelli stradali che portano in luoghi ancora da scoprire. Uno spiritello sorridente dagli occhi verdi che ci invita a non mollare, a indignarci ogni volta che serve, a studiare ogni volta che si può, a lottare ogni volta che si deve. E ad ascoltare, perché pochi sapevano ascoltare come Benedetto.
Il 2020 è stato un anno tragico per tutto il pianeta, certamente. Ma l’anno appena passato ha visto il tramonto di tre stelle tra le più luminose della galassia del «manifesto». Rossana Rossanda, Giancarlo Aresta e Benedetto Vecchi. Tre compagni quanto mai diversi tra loro ma tutti e tre imprescindibili in alcuni tornanti della nostra lunga storia.
Con Benedetto condividevamo molti sogni su questo oramai imminente anniversario del giornale, mezzo secolo in edicola, mezzo secolo nelle piazze, mezzo secolo sempre «dalla parte del torto». Non averlo con noi aumenta il rimpianto e le responsabilità.
Si dispiacerebbe, Benedetto, nel vederci feriti. Saprebbe come consolarci con un sorriso e una battuta.
(leggi lo speciale su Benedetto)
Conservo un suo audio whatsapp come una delle canzoni più preziose del mio hard disk. La sua voce, già malata, mi incoraggiava facendosi parte di un mio dolore.
Di sicuro non c’è stato giorno, di questa maledetta pandemia, che qualcuno di noi qui in redazione non abbia pensato a lui e a cosa avrebbe detto, scritto o fatto in mezzo a questa catastrofe sconosciuta che ha cambiato i connotati del lavoro, dell’affettività, della società intera. Un mondo in cui virtuale e reale, artificiale e naturale, individuale e collettivo, sano e malato, tecnica e politica, economia e filosofia, si mescolano come in un caleidoscopio. Ma il seme che Benedetto ci ha lasciato è piantato in profondità. Non gela e non muore.
L’inserto del giornale di oggi raccoglie solo in parte i contributi culturali e le piste giornalistiche che Benedetto stava seguendo.
(leggi il ricordo di Norma Rangeri sul manifesto del 6 gennaio 2021)
In un anno, dobbiamo riconoscerlo, non abbiamo trovato dentro e intorno al giornale uno (o una) che potesse davvero «stargli appresso» e ravvivare sulle pagine quei suoi percorsi di indagine.
Sui suoi temi, così ampi, Benedetto era davvero il numero uno. Meriterebbero un approfondimento più continuo e sistematico, ed è un impegno editoriale che non dobbiamo far cadere. Come quello della «fondazione del manifesto», un’«arca» che potrebbe salvaguardare l’archivio storico del giornale di fronte a ogni possibile futuro «diluvio».
Alcune delle sue idee prenderanno vita, tra poco, sul «manifesto digitale»: un nuovo tipo di piattaforma che piano piano vedrà la luce nel corso di quest’anno così importante per la storia del giornale. Una piattaforma pubblica di inesauribile libertà e non di infinita estrazione di dati privati. Un lavoro editoriale che viene da lontano e su cui Benedetto ha sempre avuto poche incertezze e tante curiosità.
La faremo questa rivoluzione, caro Ben. A modo nostro. Ma mi manchi. Manchi a tutti.
Un abbraccio fortissimo a Laura e Marianna e a tutti quelli – e sono tanti – che a Ben gli hanno voluto proprio bene.
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