Sulle regole la Ue non molla. E Meloni è all’ultima spiaggia
Regole Ue Pesano la nomina di Fitto e i timori sui conti pubblici
Regole Ue Pesano la nomina di Fitto e i timori sui conti pubblici
«Il 16 gennaio abbiamo ricevuto una risposta dalle autorità italiane al parere che avevamo inviato nel novembre dell’anno scorso. L’abbiamo analizzata e siamo in contatto con le autorità italiane nell’ambito della procedura d’infrazione». Così Arianna Podestà, vice capo-portavoce della Commissione Ue, durante la conferenza stampa quotidiano a palazzo Berlaymont, fa il punto rispetto a una delle più annose questioni che da anni dividono Roma e Bruxelles: l’applicazione della direttiva Bolkestein al settore dei balneari. Solo che il tira e molla sembra ormai arrivato al capolinea, con il governo pronto a scaricare in nome della realpolitik una categoria, quella dei balneari appunto, da sempre schierata a suo favore.
Anche se aleggia l’ipotesi dell’ennesima proroga (al 2030) per le regioni dove le spiagge in concessione sono meno del 25%, il governo potrebbe finalmente arrendersi, mettendo un fine al rinnovo automatico delle concessioni a partire dal 2025. Pesano sulla scelta i fronti aperti con l’Ue, la nomina del Commissario e la legge di bilancio, che preannunciano un autunno di negoziato serrato, rispetto al quale Roma non vuole farsi trovare troppo in svantaggio. Ma certo, finora la strategia dei diversi inquilini di Palazzo Chigi sulla questione balneari era stata quella di procrastinare l’applicazione delle norme Ue. Potenzialmente all’infinito.
La procedura d’infrazione era scattata nel dicembre 2020 con la richiesta all’Italia di garantire trasparenza e parità di trattamento in merito al rilascio delle autorizzazioni per l’uso del demanio marittimo. L’Italia era stata giudicata inadempiente rispetto alla direttiva del 2006 sulla libera circolazione dei servizi nel mercato interno Ue, recepita nel 2010, all’epoca del governo Berlusconi IV, sostenuto da una maggiorana di centrodestra. Promossa dall’allora commissario al Mercato interno, il liberale olandese Frits Bolkestein – e contestata per il suo impianto liberista da sinistra radicale e Verdi – la direttiva prevede la possibilità di vendere servizi in ogni paese membro, favorendo la concorrenza a tutto vantaggio dei consumatori. Che tradotto significa: stop al rinnovo automatico delle concessioni in favore di procedure di assegnazione aperte alla concorrenza.
Il 16 novembre 2023 c’è poi al richiamo in forma di parere motivato, con la richiesta a Roma di rispondere entro due mesi, pena il deferimento alla Corte di Giustizia Ue che avrebbe portato a possibili sanzioni pecuniarie per Roma. Il governo Meloni in effetti risponde, anche se nell’ultimo giorno utile, il 16 gennaio 2024, ma provando a usare l’argomento che solo il 33% delle coste risulta occupato da stabilimenti. Peccato che il dato è stato calcolato sul totale dei litorali anziché sulle aree balneabili.
Una replica che non sembra aver convinto le autorità europee, che tengono il punto e chiedono il rispetto delle norme sulla concorrenza. In aggiunta, un mese fa un’altra sentenza della Corte di giustizia Ue ha stabilito che al termine del periodo di concessione lo Stato può espropriare in automatico gli stabilimenti, anche senza rimborso. Perché il demanio è pubblico e quindi «le autorizzazioni alle occupazioni hanno carattere precario».
Dopo quasi venti anni di rimandi e scuse, forse ci siamo. Ma solo perché l’Ue ha messo Meloni alle strette.
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