Francesco Pezzulli e Carlo Cuccomarino, ricercatori eretici e ideatori della rivista, realizzano un’impresa non facile: inquadrare dal meridione del paese chiamato Italia, «il nuovo modo di produzione e valorizzazione capitalistica che – spiegano nell’editoriale – riesce a coinvolgere l’intera nostra vita».
IL CONCETTO DI MERIDIONE appare quindi un mero spunto originario e perde gradualmente consistenza fino a diluirsi nelle trasformazioni che investono il pianeta Terra a tutte le latitudini. Sud comune si muove infatti nella consapevolezza che «i contesti locali (…) non sono protetti da nessuna eredità culturale che li rende esterni o impermeabili ai processi capitalistici sovranazionali e nazionali. In altri termini non esiste un sud “altro” dal capitalismo, esiste un capitalismo che “produce” le località meridionali, che ne ridisegna i poteri reali, le gerarchie, le identità e le differenze».
TRA LE QUESTIONI AFFRONTATE, la ricognizione sul municipalismo permea la rivista nella terza sezione. Riaffiora il dibattito sulla possibilità che questa prospettiva di federalismo si tramuti in cammino comune per le sinistre italiane. Dopo il fallimento dell’atto di supremazia del governo centrale sulle autonomie locali, contenuto nel referendum renziano, ridiventa importante aprire un ragionamento sulla potenza sociale centrifuga che il municipalismo può ancora esercitare nei confronti del Leviatano.
Così, il contrasto fra la presente arrendevolezza delle popolazioni del sud Italia e le passate insorgenze meridionali per la riappropriazione delle terre incolte dei latifondi, è la conferma di una dispersione forzosa, pilotata dal sistema di dominio capitalista. Oggi come ieri, milioni di corpi sono sballottati, costretti a migrare, dati in pasto alla xenofobia, in funzione del loro sfruttamento. Ma soprattutto per scongiurare il rischio che i sud possano divenire territori privilegiati di un esercizio concreto, collettivo e riproducibile del comune.