Economia

Su Poste perfino la Cisl va contro il Giorgetti style

Su Poste perfino la Cisl va contro il Giorgetti styleGiorgia Meloni a un evento di Poste Italiane – Foto Ansa

Privatizzazioni Il sindacato lo considera un suo storico feudo e promette di mobilitarsi. Consob e sovrapposizione con Eni sono gli altri nodi

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 28 gennaio 2024

Se perfino il segretario Cisl Luigi Sbarra promette «una vertenza aspra», la privatizzazione di Poste diventa una strada in salita per il governo Meloni.

Le dichiarazioni di Giancarlo Giorgetti sulla volontà di «vendere» il gioiello pubblico trasformato in banca da qualche decennio non sono state un fulmine a ciel sereno. Già al momento dell’inserimento dei 20 miliardi di privatizzazioni nella Nadef di ottobre era scontato prevedere che per arrivare a una cifra così alta lo stato avrebbe dovuto dismettere tutte le sue partecipazioni: Eni, Enel e Poste.

La fretta però è cattiva consigliera e Giorgetti pagherà caro il fatto di aver annunciato la probabile Offerta pubblica di vendita del 29,6% per incassare 3,7 miliardi senza prima avvisare il sindacato che considera le ex Poste e Telecomunicazioni un suo storico feudo.

Il ministro leghista sperava di garantirsi il placet della Cisl – fin troppo buona con il governo su autonomia differenziata, riforma fiscale e legge di bilancio – premettendo la frase «dobbiamo mantenere il controllo, non possiamo scendere sotto il 35%».

E invece questa volta Sbarra si è mobilitato – non gli capitava da maggio, ultima manifestazione unitaria con Cgil e Uil – con parole molto dure: «Le garanzie non si danno a mezzo stampa, ma negli incontri ufficiali. Su questa storia vogliamo vederci chiaro, per questo chiediamo un incontro immediato». E ancora: «Se il governo pensa di poter andare avanti da solo, sbaglia di grosso. Poste è un’eccellenza italiana grazie al contributo decisivo dei lavoratori. Dismettere quote pubbliche di una realtà del genere vuol dire mettere a rischio l’intero equilibrio del gruppo».

La Cisl non è l’unico problema di Giorgetti. La Consob e la sovrapposizione con Eni sono gli altri, non meno delicati. La strada dell’Offerta pubblica di vendita – scelta al posto di una vendita ai soli investitori istituzionali – prevede tempi serrati per poter aprire l’offerta a giugno, periodo migliore in ottica mercati e tutto va fatto in fretta con la Consob. La concomitanza con la collocazione del 4% di Eni è l’altro problema: Giorgetti dovrà decidere a chi dare priorità per evitare che la concorrenza riduca le adesioni su entrambe da parte dei risparmiatori.

Ieri intanto sul fronte politico sono arrivate le reazioni di Forza Italia e Pd. Se Antonio Tajani ha rivendicato la primogenitura dell’idea – le privatizzazioni «non sono la svendita del patrimonio dello stato», «sono lieto che il presidente del Consiglio abbia accolto favorevolmente la posizione di Forza Italia a sostegno delle privatizzazioni» – il Pd si è fatto sentire con una forte opposizione: in un’interrogazione a Giorgetti si fa notare come il suo annuncio «smentisce clamorosamente il ministro dello Sviluppo Adolfo Urso, che aveva garantito il mantenimento della maggioranza assoluta del 51%» ed è «una svendita inaccettabile che può avere conseguenze sulla salvaguardia dell’occupazione (i dipendenti sono oltre 120mila, ndr) e su servizi essenziali per i cittadini». «Parlano di patria mentre la mettono in vendita», rincara Andrea Orlando.

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