Cultura

Storie in punta di capelli

Storie in punta di capelliCharlie Le Mindu, Coiffure Blonde lips, Collection Printemps, 2009, Londres Samir Hussein / Getty Images

Chiome al vento Dal libro di Elena Martelli «All’aria sparsi» (Il Saggiatore) all’esposizione parigina «Des cheveux et des poils»: acconciature ribelli e soprannaturali

Pubblicato circa un anno faEdizione del 30 luglio 2023

«Poi quello che mi aveva imbavagliata mi passò una macchinetta sulla testa: prima dalla fronte fino alla nuca e poi di traverso e dietro le orecchie, e intanto mi tenevano, in modo che potessi vedermi bene nello specchio del barbiere; e mentre vedevo quello che facevano non potevo crederci e piangevo e piangevo ma non potevo staccare gli occhi dalla mia faccia spaventosa, con la bocca aperta e le trecce ficcate dentro e la mia testa che usciva nuda di sotto la macchinetta»: nella Spagna degli anni Trenta lacerata dalla guerra civile la giovane Maria racconta all’uomo che ama, il volontario americano Robert Jordan, il giorno in cui è stata violentata dai falangisti di Francisco Franco. Lo stupro, però, è solo un accenno: «Mi fecero brutte cose». A restituire il senso dell’orrore e dell’umiliazione, in questa che è forse la scena più drammatica di un romanzo di Ernest Hemingway, Per chi suona la campana, a suo tempo molto famoso e oggi – come il suo autore – quasi dimenticato, è sufficiente il ricordo della rapatura brutale, di quel volto che si trasforma fino a diventare irriconoscibile a sé stesso.

Laetitia Ky, autoritratto, 2021

DI SCENE SIMILI, di teste maschili e soprattutto femminili rese nude a forza, se ne ritrovano tante nei romanzi, nei film, soprattutto nella vita vera. La più recente l’abbiamo vista poche settimane fa, appartiene a Elena Milashina, la giornalista russa della Novaja Gazeta, picchiata e rasata a zero a Groznij, in Cecenia, da un gruppo di ignoti aggressori che hanno voluto colpirla e umiliarla per le sue inchieste sulle violazioni dei diritti umani in Russia e nell’ex Unione Sovietica. Ancora un esempio – con ogni probabilità non l’ultimo, purtroppo – di una forma molto particolare di punizione che, come ha scritto l’antropologo francese Christian Bromberger in un saggio di qualche anno fa, Trichologiques (Bayard 2010, ripubblicato nel 2015 da Creaphis con il titolo Le sens du poil), ricorre attraverso i secoli in tutti i processi di dominazione e sottomissione.

LO STUDIO DI BROMBERGER è uno dei punti di riferimento della giornalista Elena Martelli, che ha da poco pubblicato un libro, All’aria sparsi (il Saggiatore, pp. 264, euro 18), con l’intento ambizioso di ricostruire una «storia culturale dei capelli» (questo il sottotitolo) dopo avere provato, in seguito a una terapia oncologica, «il lutto della perdita» ed essersi ritrovata «tra i puniti e le punite»: «Prigionieri e prigioniere di guerra, schiavi e schiave, traditori e traditrici, meretrici, pazze, possedute (prevale il genere femminile), una categoria che attraversa le epoche e, in continua evoluzione con il medesimo significato privativo, la contemporaneità».
Proprio riflettendo su questo destino collettivo che «rendeva piccina la (sua) preoccupazione personale», Martelli è arrivata alla conclusione che «dalla nascita dell’Homo sapiens fino alla costruzione dell’immaginario cyberpunk, le nostre chiome sono state il codice per leggere le più diverse identità, i mutamenti più complessi delle nostre società e della realtà tutta».

NON È UN’ESAGERAZIONE. Lo aveva già detto Balzac: «Se uno storico non considerasse la storia dei capelli lunghi dei re franchi, la tonsura dei monaci, la rasatura del servo, la cipria aristocratica e il taglio à la Titus, mancherebbe il racconto delle principali rivoluzioni del nostro paese». E non si tratta solo della Francia: la storia umana, per come la conosciamo attraverso le immagini e i testi che ci sono arrivati dall’antichità più remota, è scandita da racconti e resoconti in cui sembra avvalorarsi il potere quasi soprannaturale che più o meno consapevolmente attribuiamo ai capelli.
Sansone e Dalila, Rapunzel, Berenice: tra cronaca e leggenda gli esempi si susseguono, dalle chiome intonse dei reges criniti merovingi, alle lunghe trecce orgogliose delle antiche slave e per converso all’imposizione di un copricapo o del velo (ben precedente ai dettami islamici) o appunto alla rasatura inflitta ai ribelli e agli sconfitti, più spesso alle ribelli e alle sconfitte – che siano le streghe medievali o le donne accusate di avere avuto a che fare con il nemico (impressionante, a quasi ottant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, il documentario La tondue de Chartres realizzato nel 2018 da Patrick Cabouat su una collaborazionista rapata fotografata da Robert Capa in uno dei suoi più celebri scatti).
Se però, come scrive Elena Martelli, «i capelli parlano», se ancora oggi, in un’epoca all’apparenza del tutto secolarizzata, li consideriamo l’emblema più vistoso della nostra personalità, è perché oltre e dietro le mode i capelli e i peli umani sono regolati da uno statuto singolarissimo. Ci appartengono, fanno parte di noi come le orecchie, il naso o le gambe, eppure li possiamo manipolare e trasformare – tagliare, tingere, lisciare, arricciare, arricchire, acconciare – in modo indolore, quasi fossero un accessorio esterno. Ma al tempo stesso sono, del nostro corpo, una delle parti più durature, in grado di sopravviverci quando di noi si sarà perso il ricordo. E infine, soprattutto, mettono in luce un tratto che forse più di ogni altro caratterizza la nostra specie: il desiderio degli umani di essere, per l’appunto, speciali. Da un lato capelli e peli ci ricordano che non è così, che anche noi siamo pur sempre bestie, mammiferi villosi come le scimmie o le pecore o i castori. E tuttavia, proprio in virtù dei cambiamenti a cui possiamo sottoporli, sono anche la dimostrazione che abbiamo il diritto di considerarci diversi (superiori?).

DA QUESTA CONSTATAZIONE ha preso le mosse lo storico francese Denis Bruna, curatore di un’esposizione sempre molto affollata, che si può visitare fino al 17 settembre presso il Musée des Arts Décoratifs di Parigi e che, come il libro di Elena Martelli, mette al centro capelli e peli, Des cheveux et des poils: «La pelosità – scrive Bruna nel testo di presentazione della mostra, intitolato non casualmente Domare l’animale che è in noi – è una caratteristica che gli umani condividono con quasi tutti i mammiferi, un accostamento che non manca di suscitare un certo imbarazzo. Il solo modo di sfuggire a questo stato ferino è addomesticare, imbrigliare, domare i capelli e i peli: dall’antichità all’epoca contemporanea la capigliatura diventa ornamento, e dunque diventa umana, solo quando è curata, spazzolata, pettinata, intrecciata, agghindata e ricoperta degli oggetti più vari».

È UN PROCESSO LUNGO e costante, che – lo testimonia la ricchezza di esempi portati da Martelli e da Bruna – assume, a seconda dei periodi storici, dimensioni e aspetti diversi, alternando fasi di grande stravaganza e di studiata naturalezza. Così, alle elaboratissime acconciature in uso alla corte di Luigi XVI e di Maria Antonietta (la cui creazione richiedeva grande perizia e ancor più grande pazienza: guardare per credere il breve documentario realizzato in occasione della mostra e visibile anche in rete) non può che seguire, nella Francia post-rivoluzionaria, un richiamo alla semplicità e ai valori, veri o presunti, dei tempi antichi, che trovano forma nell’acconciatura unisex alla Titus o alla Brutus, quella di solito associata ai ritratti di Napoleone. Ma seguiranno altre mode, il pendolo punterà di nuovo verso l’artificio e la complessità, e più avanti, con la fine della prima guerra mondiale, verso una ipotetica liberazione da regole e modelli troppo rigidi.
Sarà vero? La carrellata di pettinature famose degli ultimi quaranta o cinquant’anni che chiude  All’aria sparsi, le sale della mostra parigina dedicate alle nuove mode della depilazione maschile e femminile insinuano qualche dubbio, ci chiedono se sia davvero possibile, a proposito di capelli e di peli (ma non solo), sbarazzarsi dei canoni e dagli stereotipi, anche quelli che assumono forme ibride, liquide, fluide. E intanto, a proposito di capelli e di peli, succede che ci siano donne rapate per sfregio, uccise perché chiedono di non coprire la testa.

 

SCHEDA

Nativi, rasature e perdite di potere

Che alla magia dei capelli si creda anche in tempi di tecnologia trionfante è dimostrato fra l’altro da una leggenda (una fake news, se vogliamo) che si è diffusa in rete, anche in Italia, nel nuovo millennio: durante la guerra del Vietnam il governo americano avrebbe arruolato nativi americani noti per la loro capacità di individuare tracce e segnali invisibili ai più, con risultati però fallimentari, perché le reclute – una volta rasate in stile marine – avrebbero perso i loro poteri. Una balla colossale, spiega dettagliatamente Alex Kasprak sul sito di fact-checking Snopes. Ma come scrive il grande storico Marc Bloch, a volte le notizie false ci dicono di noi più di quelle vere.

 

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