Storia di una terra che sa di robiola
Agricoltura Nell’Alta langa astigiana, a Roccaverano, due giorni di festa per celebrare il consorzio del formaggio piemontese. Una eccellenza millenaria per un’altra tappa del progetto «AgriCultures» a cura del collettivo FocusPuller
Agricoltura Nell’Alta langa astigiana, a Roccaverano, due giorni di festa per celebrare il consorzio del formaggio piemontese. Una eccellenza millenaria per un’altra tappa del progetto «AgriCultures» a cura del collettivo FocusPuller
Storie di contadini, veri. Il viaggio di AgriCultures continua attraversando l’Italia alla scoperta delle donne e degli uomini che con il loro lavoro di contadini e allevatori difendono la biodiversità nutrendo e proteggendo il pianeta dalla crisi ambientale. Un impegno che prosegue per un obiettivo ambizioso: la sovranità alimentare.
E così la mostra video installazione AgriCultures-AcquaTerraUomo, a cura del collettivo FocusPuller, raggiunge domani un piccolo paese nell’Alta Langa Astigiana, Roccaverano, dove una piccola comunità di contadini e allevatori piemontesi produce un delizioso formaggio: la Robiola di Roccaverano Dop («formaggio contadino», dicono con malcelata soddisfazione). L’occasione è ghiotta perché fino al 30 giugno si festeggia il quarantesimo anniversario del consorzio del celebre formaggio durante la XIX edizione della Fiera Carrettesca. Una festa rigorosamente «plastic free» realizzata con la collaborazione di MaterBI.
La storia degli allevatori dell’Alta valle Bormida fa parte del viaggio visivo e sonoro di un progetto che interseca frammenti di documentari realizzati seguendo e filmando i piccoli agricoltori e i movimenti contadini di varie zone del pianeta. Dall’Amazzonia all’astigiano.
ABBIAMO INCONTRATO FABRIZIO Garbarino, presidente del consorzio per la tutela della Robiola e coordinatore dell’associazione Rurale Italiana, che è parte dell’organizzazione internazionale La Via Campesina, per farci raccontare cosa succede nelle sue terre e cosa significa essere piccoli contadini oggi in Italia. «La situazione dei piccoli agricoltori in Italia è drammatica – spiega – negli ultimi anni abbiamo avuto molte chiusure di piccole aziende anche se in tanti stiamo cercando di resistere all’agricoltura industriale. Stiamo lottando anche perché siamo consapevoli che senza il nostro lavoro di contadini il territorio subirebbe alterazioni inarrestabili e la qualità del cibo sarebbe sempre peggio».
LA CHIAVE PER «RESISTERE» è l’agricoltura contadina agroecologica che produce cibi biodiversi anche in territori molto piccoli. Lavorando quindi su piccoli appezzamenti di terra l’approccio agroecologico garantisce il rispetto delle peculiarità locali e nello stesso tempo la salvaguardia dell’ambiente. E’ proprio questa la storia esemplare di Fabrizio Garbarino: «Io sono un contadino allevatore della Langa Astigiana e sono parte di una piccola cooperativa, La Masca, siamo in quattro e facciamo parte del consorzio per la tutela della Robiola di Roccaverano DOP con altre sedici piccole aziende agricole. Noi alleviamo circa centoventi capi, tra capre di razza autoctona di Roccaverano e Camosciata alpina. Abbiamo anche alberi da frutto, mele e pere di qualità autoctona in una zona a sud nell’alta Valle Bormida».
Una valle, un fiume. E un territorio tristemente famoso che ha avuto gravissimi problemi ambientali causati dall’Acna di Cengio, ma che negli ultimi venti anni, dopo la chiusura della fabbrica, ha saputo riscattarsi e ripartire, anche attraverso un lungo processo di bonifica. Adesso quel territorio è una delle aree con maggiore biodiversità del basso Piemonte.
«In questa zona – prosegue Garbarino – possiamo ancora trovare pascoli, boschi, campi coltivi, frutteti e tutto quel tipo di cultura contadina che produce eccellenze enogastronomiche e che soprattutto dà lavoro a migliaia di piccoli agricoltori». Eccellenze come la Robiola DOP, una produzione sostenibile perché consuma principalmente alimenti del territorio per nutrire gli animali, con il pascolo che va da marzo a novembre, obbligatoriamente locale. Il simbolo di un piccolo territorio e di una pratica a dir poco virtuosa.
«L’ottanta per cento dell’alimentazione degli animali è data da fieno, cereali, erba medica fienata, tutti alimenti che devono pervenire dal territorio di produzione. Questo vuole dire due cose: la prima che il plus valore della produzione rimane nel territorio e la seconda che si riesce a rendere il territorio capace di produrre quell’alimento, in questo caso il formaggio, in modo autosufficiente dal punto di vista alimentare. Stiamo praticando una forma di economia circolare e di sovranità alimentare e questo è molto importante perché se non ci fosse questo approccio il territorio sarebbe abbandonato, invece noi riteniamo che attraverso la produzione della Robiola tutto il territorio ne trova beneficio, dalla manutenzione agricola fino alla vendita finale del formaggio con un procedimento che ha una storia di circa mille anni ed è tra i pochi formaggi prodotti in Italia con il latte crudo».
SI CAPISCE PERCHE’ QUESTO FORMAGGIO è considerato un motore di sviluppo agricolo dell’Alta Langa Astigiana. Sviluppo sostenibile, ovviamente, «perché il nostro tipo di allevamento è di piccola scala, contadino e familiare, per cui non necessitiamo di grandi estensioni territoriali né di grandi numeri di animali». Significa avere un apporto energivoro molto contenuto, esattamente l’opposto degli allevamenti industriali che, nel mondo, sono tra le cause principali della crisi climatico-ambientale. I grandi allevamenti, prosegue, «necessitano di una enorme quantità di energia che viene somministrata attraverso mangimi che vengono prodotti in tutto il mondo utilizzando principalmente soia o mais, transgenici». Non è un caso se in Italia circa il novanta per cento degli alimenti usati negli allevamenti di larga scala arriva dal Brasile e l’Argentina.
E non c’è niente come la produzione massiva e industriale delle monoculture per distruggere la biodiversità del territorio, fosse anche un territorio contenuto come l’astigiano. L’utilizzo intensivo di pesticidi, per esempio, sta facendo danni anche in queste zone.
«NOI NEL NOSTRO CONSORZIO – conclude Garbarino – abbiamo vietato l’utilizzo di queste proteine vegetali in modo da seguire un processo ecologico, noi siamo certo tra i responsabili del cambiamento climatico». Di tutto ciò si parlerà domani sera alle 21 presso la sala consiliare di Roccaverano. Partecipano Andrea Di Stefano, responsabile progetti speciali Novamont, il sindaco Fabio Vergellato e lo stesso Fabrizio Garbarino. Durante la due giorni di festa scorreranno le immagini di AcquaTerraUomo, un’opera di arte visuale del collettivo FocusPuller che racconta la vita e la creazione, il lavoro delle terre, dal Karnataka alle risaie a sud di Milano, e il fascino del movimento millenario di un mulino dell’Himalaya.
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