Stato d’emergenza, proroga con paletti fino al 15 ottobre
Governo L’arringa di Conte al Senato ottiene il via libera della maggioranza con 157 sì. Oggi il voto sullo scontamento di bilancio. L’opposizione pronta a dire no
Governo L’arringa di Conte al Senato ottiene il via libera della maggioranza con 157 sì. Oggi il voto sullo scontamento di bilancio. L’opposizione pronta a dire no
Stato d’emergenza prorogato ma solo sino al 15 ottobre: due settimane in meno di quanto previsto dal governo. Stato d’emergenza sì, ma fino a un certo punto. Con pali e paletti studiati per limitare nei fatti quei poteri del premier che sulla carta dovrebbero essere «pieni».
Il governo è impegnato a definire «con norma primaria» le eventuali limitazioni delle libertà fondamentali e a coinvolgere il Parlamento «nelle fasi attuative» dello stato d’emergenza, oltre che a garantire la riapertura delle scuole in settembre e ad assicurare lo svolgimento delle elezioni regionali e del referendum, il 20 e 21 settembre, senza chiudere le scuole.
SUL NODO DEI DPCM aveva già messo le mani avanti lo stesso Conte, nella sua relazione al Senato. Certo, lo stato d’emergenza è necessario per i dpcm. Non sufficiente però: «Il presidente del consiglio non sarebbe autorizzato a emanare dpcm. Ci vorrebbe un nuovo decreto legge che verrebbe sottoposto al Parlamento».
Quella dell’avvocato Conte è una vera e propria arringa, nella quale spiega la necessità dello stato d’emergenza, senza il quale, oltretutto, non avrebbe più ruolo neppure il Comitato tecnico-scientifico che nella pandemia è stato fondamentale e nega che si tratti di una forzatura in alcun senso.
Pur se non espressamente previsto dalla Costituzione non è affatto «uno strumento illegittimo» e comunque l’esecutivo «si è sempre mosso in modo garantista e trasparente».
UFFICIALMENTE IL PREMIER anticipa così le critiche dell’opposizione, che infatti arriveranno subito fragorose.
Salvini telefona addirittura al Capo dello Stato per comunicargli «lo sconcerto della Lega per una ingiustificata proroga dello stato d’emergenza».
Giorgia Meloni forza i toni e si dice «scioccata da Conte«. Il premier cita testualmente, per respingerlo, il cavallo di battaglia della destra, secondo cui insistere con lo stato d’emergenza equivarrebbe a dire al mondo che l’Italia è un Paese insicuro: «E’ vero il contrario».
In realtà il premier si rivolge invece alla sua maggioranza.
La trattativa è stata lunga e tesa. Quando «Giuseppi» prende la parola nell’aula di palazzo Madama non si era ancora conclusa. Il Pd insisteva per non andare oltre il 21 settembre. A Conte l’idea di tagliare ulteriormente la proroga fermandosi al 15 ottobre piaceva tanto poco che, pur essendo stato su quel punto già stabilito il compromesso, in aula si tiene sul vago e parla ancora solo di «ottobre».
QUESTA TENSIONE con la maggioranza preoccupa palazzo Chigi molto più delle intemerate dell’«opposizione.
Ieri Zingaretti, parlando di immigrazione e scuola, si è lasciato scappare un giudizio sferzante: «Mancano politiche adeguate. Non c’è niente». Il braccio di ferro sulla gestione del Recovery, poi, è appena cominciato.
La bicamerale proposta da Fi è stata cassata lunedì sera. Le due commissioni speciali che ciascuna camera dovrebbe istituire destano dubbi in quantità e non è affatto detto che vedano mai la luce.
Non significa che la maggioranza intenda delegare alla task force di Conte, cioè a palazzo Chigi, la gestione del Piano di rilancio. Ci sono le commissioni competenti. C’è l’aula. Con o senza le commissioni speciali, il Parlamento vuole sia il potere di indirizzo, con tanto di voto, sia la decisione finale. In questo caso, quando si dice «Parlamento», si intendono anche, anzi soprattutto le forze di maggioranza.
OGGI IL TOUR DE FORCE del governo e del suo capo proseguirà con il voto sullo scostamento di bilancio di 25 miliardi di euro.
Ieri mattina si era diffusa la voce, rilanciata anche da alcuni quotidiani, che Fi avesse deciso di smarcarsi dal resto della destra votando da sola a favore dello scostamento. La ha smentita Berlusconi in persona, «Fanno male a essere così sicuri del nostro voto», ancora prima del vertice tra Salvini, Meloni e Tajani che, ieri pomeriggio, ha ribadito la scelta della destra di muoversi all’unisono.
Le condizioni dell’opposizione sono tre: rinvio a fine anno delle scadenze fiscali, contributi a fondo perduto al turismo, casse integrazione.
Senza improbabili colpi di scena oggi l’opposizione voterà contro lo scostamento. I numeri dovrebbero esserci lo stesso. Ma per settembre non è certo un buon viatico.
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