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Stanisław Lem, malinconie di un sosia in una vita che non è la sua

Stanisław Lem, malinconie di un sosia in una vita che non è la suaCracovia, 1971, Stanislaw Lem ritratto da Jakub Grelowski/PA

Narratori polacchi Tradotto per la prima volta da Voland, «Febbre da fieno» appartiene al filone realistico dell’autore di «Solaris»: protagonista di questo apparente crime novel, un ex astronauta alle prese con una misteriosa serie di casi di follia e suicidi

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 12 luglio 2020

Interrogandosi sulla natura dell’opera letteraria come prodotto di un atto intenzionale, Wisława Szymborska si chiedeva nel 1967:«C’è dunque un mondo / di cui reggo le sorti indipendenti? / Un tempo che lego con catene di segni? / Un esistere a mio comando incessante?». Otto anni dopo Stanisław Lem rispondeva con il romanzo breve Katar di cui la casa editrice Voland offre adesso la prima traduzione italiana: Febbre da fieno (a cura di Lorenzo Pompeo, pp. 204, € 18,00).

Alla Sf tornerà nell’82
Insieme a L’indagine del tenente Gregory, Katar è l’unica opera matura di Lem che corrisponda pienamente ai principi del realismo, mentre tutte le altre rientrano a vario titolo nel novero della letteratura fantastica. Non della fantascienza, però, perché a partire dal 1972, anno di uscita di Fantastyka i futurologia, Lem aveva completamente rotto i ponti con questo genere, rinnegando la paternità di libri come Astronauti o La nube di Magellano, sebbene Solaris gli avesse garantito una fama pressoché planetaria.  Alla Science Fiction «classica» Lem non riconosceva infatti alcuna effettiva capacità di previsione dello sviluppo tecnologico,  e ancor meno di predizione sociologica. È in questa ultima direzione che, paradossalmente, si muove il «realistico» romanzo Katar, in apparenza un crime novel il cui protagonista, un ex astronauta, si trova alle prese con una misteriosa serie di casi di follia e di suicidio ambientati tra Napoli e Roma in un distopico futuro prossimo. Nello sviluppo a incastro della intricatissima trama, Lem sembra calcare le orme di Lewis Carroll e della sua variante matematica di immaginazione, come testimonia la conclusione.

Un altro uomo superfluo

Con Katar Lem si situa su quella linea di continuità che parte da Jonathan Swift e dall’autore di Alice in Wonderland e approda a Philip K. Dick e ai suoi esperimenti con le sostanze psicotrope, passando per un esploratore di stati di coscienza alterati culturalmente assai vicino a Lem, lo Stanisław Ignacy Witkiewicz di Narkotyki. D’altra parte, il gioco dei riferimenti metatestuali coinvolge anche il grande romanzo russo dell’Ottocento. Il protagonista è un «astronauta di riserva», a suo tempo impossibilitato a svolgere una missione su Marte per via della allergia che lo perseguita; nella sua stessa definizione è «un Cristoforo Colombo di scorta», una matita temperata con gli strumenti migliori, ma che non traccerà un singolo segno. Difficile non vedere analogie con la mesta situazione dell’«uomo superfluo» di turgeneviana memoria, ma anche con il sosia dostoevskiano. Da equipaggio di scorta, il protagonista è stato il «doppio» dell’astronauta titolare che sarebbe volato su Marte. D’altra parte la missione che, una volta congedato, dovrà svolgere in Italia per conto di uno studio di avvocati è quella di simulare le ultime ore di vita di un americano che, dopo aver effettuato dei bagni curativi in acqua solforosa a Napoli, sulla strada per Roma ha cominciato a presentare i segni di quella follia che ne avrebbe apparentemente causato la morte in una stanza dell’hotel Hilton a Roma. Ripetendone i gesti, indossandone gli abiti, utilizzandone gli oggetti, egli è nella posizione di un sosia chiamato a vivere una vita che non è la sua.

Il testo non si limita a una trama finemente cesellata, densa di rimandi intertestuali, ma offre elementi di malinconica riflessione personale: analizzare i propri fallimenti è inevitabile per questo uomo che si è visto abbattere con il suo aliante dalla contraerea tedesca alla vigilia dello sbarco in Normandia, e che una volta divenuto astronauta non è mai arrivato su Marte. La consapevolezza di avere un grande avvenire alle spalle è resa tanto più amara dagli ottimi risultati che avrebbe potuto ottenere. Gli anni che precedono la stesura di Katar sono quelli della progressiva rinuncia di Lem a una enunciazione bellettristica autoriale a favore sia della saggistica, sia di apocrifi come Vuoto assoluto, destinati a diventare i simulacri dei libri che non saprà o non vorrà scrivere. Mentre esibisce la sua propensione futurologica, Febbre da fieno è davvero abbagliante: antevede il fenomeno dei desaparecidos, ad esempio, e dimostra una precoce consapevolezza della insostenibilità ecologica e sociale del modello di sviluppo politico-economico del «primo mondo».

Il caso o la letteratura
Per certi aspetti, Lem sembra persino aver previsto i problemi che insorgono a fronte alla difficoltà, quando non alla impossibilità, di interpretare correttamente i dati di un fenomeno sconosciuto come un’epidemia senza precedenti. Dal punto di vista della trama il caso viene risolto… dal caso: spiega uno dei personaggi che se un numero sufficiente di tiratori spara per un tempo abbastanza lungo, anche un bersaglio minuscolo come una cacca di mosca verrà trapassato da una pallottola. Ma esiste il caso, in letteratura? Szymborska nella Gioia di scrivere aveva avvertito: «Dimenticano che la vita non è qui. / Altre leggi, nero su bianco, vigono qui, / Un batter d’occhio durerà quanto dico io, / si lascerà dividere in piccole eternità / piene di pallottole fermate in volo. / Non una cosa avverrà se io non voglio». Non la legge dei grandi numeri, che trasforma il caso in probabilità, presiede alla soluzione dell’enigma, bensì la natura intenzionale dell’atto letterario, e solo i grandi scrittori come Stanisław Lem sanno dissimularla indossando la maschera della fortuna.

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