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Cuore e ragione per Stefano PiliaStefano Pilia, infaticabile ricercatore di universi musicali, compositore tra i più originali nel panorama europeo e accompagnatore di alcune realtà contemporanee tra le più audaci (Massimo Volume, Afterhours, InZaire, Rokia Traoré, Mike Watt, David Grubbs), ha proposto nei giorni scorsi il progetto Spiralis Aurea al Teatro Basilica di Roma insieme a Alessandra Novaga (di cui ci piace ricordare il suo Fassbinder Wunderkammer) all’interno di una rassegna in omaggio all’etichetta Die Schachtel. Abbiamo chiesto a entrambi di parlarci di questa operazione musicale.

Perché avete scelto questo titolo?

La spirale aurea è una forma, una curva matematica che incredibilmente descrive tantissime forme presenti in natura, dal modo in cui si dispone la materia nelle galassie al guscio di una chiocciola. E questo è molto sorprendente perché da un lato risponde a un principio logico-matematico che uno pensa essere solo un’astrazione, ma in realtà si osserva in molti fenomeni. L’abbiamo usato perché alcuni dei principi che regolano la relazione tra queste quattro voci, la relazione tra altezza e tempi di queste note, sono tutte legate alla serie di Fibonacci.

La composizione originaria era pensata per due chitarre?

La composizione originaria non prevede una strumentazione specifica. Perché il tipo di scrittura non parte dalla conformazione timbrica o dalla morfologia dei suoni, ma dalla loro relazione. Più nello specifico parte dall’idea di una relazione tra le altezze. Quindi un’architettura che è fatta di note, nel senso più classico del termine. Chiaramente ci sono su alcuni brani delle modalità di emissione del suono per cui sono richiesti determinati strumenti, ad esempio nel brano di apertura sono previsti dei glissati che possono essere eseguiti in quel modo principalmente da degli archi o da degli oscillatori. Ma di fatto ognuna di queste composizioni non prevede degli organici specifici. L’unica caratteristica che li accomuna è il fatto che sono sempre quattro voci.

Che suonate in due…

Sì. Nel portare dal vivo questo progetto per adesso abbiamo sperimentato – e parlo al plurale perché Alessandra Novaga sin dal principio è stata una presenza fondamentale, soprattutto nella sua elaborazione dal vivo. La chitarra permette di portare due voci a testa. E quindi con due chitarre si riescono a completare tutte le geometrie che sono scritte nell’opera.

Che tipo di intreccio c’è rispetto alla mutazione del suono data dai dispositivi che usate (pedali e oscillatori), dove lo strumento è la fonte, però poi ci sono una serie di filtri?

A differenza degli altri miei lavori, quel tipo di percorso qui non c’è, nel modo in cui lo presentiamo dal vivo, se non in termini funzionali al rendere il più possibile evidente questo gioco tra le quattro voci. Non c’è l’idea di pensare la chitarra come uno strumento elettroacustico e quindi con questo suo mutevole aspetto con cui giocare. Ma è piuttosto realizzare una partitura, inseguire una mappa.La spirale aurea è una curva matematica che descrive tantissime forme presenti in natura, dal modo in cui si dispone la materia delle galassie al guscio di una chiocciola.

Da «In girum imus nocte», dove l’elemento matematico era determinante, a «Spiralis Aurea», che comunque è stato realizzato nello stesso periodo, quali sono le linee comuni, quali sono (se ci sono) gli intrecci e le necessità?

Dopo In girum ho sentito che la forma aveva delle necessità ben precise per poter procedere in quel lavoro di simmetria che stavo cercando. Era molto più naturale approcciare il lavoro partendo dalla partitura invece che dallo strumento, in particolare dalla chitarra. La chitarra per come è fatta non ha una sua simmetria, non è come un pianoforte ad esempio. E soprattutto, nel momento in cui usi uno strumento per scrivere, per la tradizione da cui vengo io, le caratteristiche timbriche dello strumento guidano, sempre. E in un lavoro come quello che avevo scelto di affrontare diventava quasi un limite usare la chitarra come strumento di scrittura, o usare uno strumento nello specifico, perché il punto non era un rapporto con il suono. Il punto era un rapporto con un’architettura, un rapporto con una geometria. Una geometria che potesse in qualche modo, isomorficamente quasi, rappresentare un aspetto simbolico. E’ un tentativo di relazione con il simbolo, attraverso una serie di traduzioni. Quindi anche quelli che sono gli aspetti geometrici, il modo di trasformare quella cosa in un percorso, che è in questo caso musicale.