Visioni

Spazi per una comunità, perché da soli si muore

Spazi per una comunità, perché da soli si muore

Eventi A Modena la rassegna di Arci. «Strati della cultura», dove i circoli mettono a confronto le loro proposte

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 16 novembre 2024

«Ma perché siamo sempre soli, io e te?» Luciana Castellina, nell’incontro di apertura della rassegna nazionale dei circoli Arci «Strati della cultura», a Modena, cita una ballata di Giovanna Marini dedicata proprio all’Arci. Una donna si rivolge al marito lamentando la sua noia: sta soffocando in una relazione claustrofobica, mentre vorrebbe invece un posto dove conoscere persone, dialogare, ballare. Versi che Castellina, presidente onoraria dell’associazione, ha voluto utilizzare per richiamare l’attenzione alla necessità di avere uno spazio in cui l’individuo possa ritrovare una comunità, andando oltre la parcellizzazione della sua vita quotidiana, oggi questione drammaticamente attuale. Proprio il tema dei luoghi in cui fare cultura è stato messo a fuoco nella tre giorni di incontri organizzata da Arci, che non a caso ha intitolato questa diciassettesima edizione della rassegna «spazi che generano visioni». Luoghi a cui tornare, sapendo di poter trovare un contesto plurale e accogliente, e in cui c’è davvero la possibilità – così rara nel nostro paese – di fare cultura dal basso.

I CENTRI CULTURALI ridefiniscono le forme di socialità e rinnovano la programmazione culturale, confrontandosi con le sfide di oggi. Per questo, Arci ha dedicato gli incontri dell’edizione odierna di «Strati della cultura» a temi come il greenwashing, l’attraversabilità degli spazi, le nuove culture digitali e l’impatto dell’intelligenza artificiali sulla cultura. Un ricco paniere di argomenti attualissimi, guardati sempre da una prospettiva militante. «Perché gli spazi non vanno depoliticizzati» ha affermato a proposito Max Collini, storica voce degli Offlaga Disco Pax «dobbiamo ricordarci che la neutralità non garantisce affatto la continuità dei diritti democratici». Allo stesso modo, emerge la necessità sempre più impellente di mantenere viva una realtà che ragioni secondo logiche diverse da quelle del settore dei grandi eventi, come si è discusso in un lungo panel svoltosi ieri mattina dal titolo «Essere moltitudine». «Gruppi come i Litfiba e i CCCP – Fedeli alla linea senza Arci non sarebbero mai esistiti. I circoli sono stati gli unici luoghi in cui storicamente si è permesso ai giovani di esibirsi, per un giusto compenso e liberi dalle soffocanti logiche di mercato» ha chiosato in merito Francesco Magnelli, pianista e arrangiatore per entrambe le band.

È UN PANORAMA, quello odierno, sicuramente sconfortante per quanto riguarda gli spazi di socialità. Mancano centri di ricreazione comuni e, soprattutto, un’educazione a frequentarli che superi il dilagante mantra dell’individualismo e del culto di sé. Il disagio psicologico, la pandemia, i social network si sono aggiunti costituendo una tempesta perfetta, un dilagare di solitudine percepita dolorosamente, soprattutto fra i più giovani, e che talvolta porta a situazioni estreme – per esempio, più di 45.000 ragazzi in Italia sono in una condizione di ritiro sociale volontario. In questa situazione dissestata, l’Arci rimane una realtà preziosissima, un luogo in cui andare «perché lì succedono le cose», un posto dove incontrare felicemente l’altro da sé. Con più di un milione di tesserati l’anno, i quattromila circoli in Italia sono un punto di riferimento per costruire una socialità fondata sulla cultura. «Il nostro obiettivo» ha dichiarato il presidente di Arci Walter Massa «è quello di creare un luogo di vera ricreazione: un posto cioè dove si possano ricreare le condizioni per fare lavoro culturale, grazie al quale le persone possano trovare anche una propria emancipazione».

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