Spagna, lo sciopero funziona
«Huelga feminista» Un 8 marzo epocale. Oltre 5milioni di lavoratrici e lavoratori hanno incrociato le braccia, fanno sapere i due maggiori sindacati che hanno aderito. Piazze piene, in radio e in televisione irrompe l’assenza delle conduttrici, in molte, le più famose, cancellano i propri programmi o li lasciano nelle mani dei colleghi maschi
«Huelga feminista» Un 8 marzo epocale. Oltre 5milioni di lavoratrici e lavoratori hanno incrociato le braccia, fanno sapere i due maggiori sindacati che hanno aderito. Piazze piene, in radio e in televisione irrompe l’assenza delle conduttrici, in molte, le più famose, cancellano i propri programmi o li lasciano nelle mani dei colleghi maschi
È stata una giornata epocale, proprio come le femministe volevano: la Spagna in affanno come non si era mai vista prima. Questa sciopero globale dal lavoro produttivo e riproduttivo, questo 8M2018, è stato un successo.
A Madrid tutto è iniziato qualche minuto dopo la mezzanotte. Femministe, armate di pentole e coperchi, si concentrano a Puerta del Sol per una cacerolada. Dal centro il rumore e gli slogan si diffondono per le strade, il contagio dilaga e si inaugura lo sciopero generale femminista, una giornata da ricordare. Sono state organizzate più di 200 manifestazioni. I tanti collettivi femministi spagnoli, riuniti nella Comisión 8M, un coordinamento di oltre 400 attiviste, la maggioranza giovanissime, hanno lavorato per mesi per ottenere questo risultato. In Spagna lo slogan «se si fermano le donne, si ferma il mondo» si è capito benissimo. Garantiti solo i servizi minimi dei trasporti pubblici nelle città principali, bloccati alcuni treni, nelle avenidas urbane bloccato il trasporto privato con caroselli e striscioni di 15 metri srotolati all’improvviso da un marciapiede all’altro. I sindacati principali, Ugt e Ccoo, diffondono i numeri: oltre 5milioni di lavoratrici e lavoratori hanno scioperato. Nell’80% circa dei posti di lavoro, in un modo o nell’altro, si è fatto sciopero.
LE FOTO DEGLI SCRANNI vuoti delle parlamentari con il cartello «deputata in sciopero» fanno il giro della rete. Picchetti femministi un po’ ovunque, nelle scuole, negli ospedali, nelle principali catene commerciali per informare sulle modalità, gli orari, la copertura sindacale e legale. È l’occasione per discutere di precarietà, della differenza salariale tra maschio e femmina, delle discriminazioni che le donne subiscono ogni giorno. In un paese dove la divisione sessuale del lavoro costringe le donne a dedicare il doppio delle ore settimanali di qualsiasi uomo al lavoro domestico e di cura, non retribuito. Chi cerca di forzare i picchetti, chi interrompe, si ritrova isolato, è impopolare, anche quando a farlo è la Guardia Civil.
I COLLETTIVI FEMMINISTI del paese e le organizzazioni sindacali hanno fatto rete perché la discriminazione riguarda tutte. La donna che fa le pulizie in un albergo o in un ospedale, le sex-worker, la chirurga o la ricercatrice, le migranti e le gitane, le giovanissime, le donne trans. Nessuna esclusa. Così le artiste, le scienziate, le attrici, le giudici, le giornaliste che hanno lanciato un manifesto di adesione allo sciopero femminista firmato da oltre 8mila donne della comunicazione. O l’appello delle accademiche che ricevono un salario più basso dei colleghi maschi, che vedono spesso una carriera ostacolata e si ritrovano con ricerche finanziate con meno risorse. Tutto per denunciare i pregiudizi impliciti di genere che discriminano le donne sempre e solo perché donne.
TUTTI I GIORNALI ne parlano e seguono in diretta l’andamento della giornata. Proprio in radio e in televisione irrompe l’assenza delle donne. Le conduttrici più famose cancellano i propri programmi o li lasciano nelle mani dei colleghi maschi. Giornaliste che rinunciano per un giorno al video e twittano «se le donne si fermano, che si veda». All’università complutense di Madrid le attiviste della Red Ecofeminista organizzano la lettura ininterrotta del Secondo sesso di Simone de Beauvoir, le ragazze che ascoltano sono tantissime. E a fine giornata manifestazioni ovunque, piazze gremite, assemblee. Chi non può scioperare ha messo un grembiule alla finestra, dovevano essere viola come il colore della marea femminista, ma sono di tutti i colori. È stata anche creata una pagina facebook Quieroynopuedo – voglio e non posso – per chi, anonimamente, vuole dire perché non riesce a scioperare. C’è la ragazza che ha trovato un lavoro dopo 3 anni di disoccupazione e ora ha paura di perderlo, chi fa la fotografa freelance e proprio oggi viene retribuita per scattare le foto della giornata, o quell’unica impiegata che teme la reazione dei colleghi maschi e del capo.
Declinare questo sciopero in chiave femminista è stato il filo conduttore, l’idea che il mondo senza le donne non può funzionare, senza le cure, invisibili e non riconosciute, senza i lavori delle donne, spesso e volentieri retribuiti male, va in stallo, non funziona. Preparare da mangiare, pulire una casa, prendersi cura di figli, badare ad anziani e al tempo stesso recarsi a lavoro, spesso sopportando ricatti e molestie, è lo sfruttamento a cui le donne sono sottoposte ogni giorno nella sfera pubblica e in quella privata, è qualcosa che le accomuna e alla quale hanno deciso di ribellarsi. Così in Spagna lo sciopero generale femminista è diventato qualcosa di diverso da ogni altro sciopero.
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