Con voce bassa, spalle incurvate e occhi lucidi, Gurjinder Singh ripercorre i quindici anni di sfruttamento nei campi di kiwi in provincia di Latina. Seduto in un bar nella piazza centrale di Cisterna di Latina, ha appena finito di lavorare. Gurjinder si sfrega le mani come se cercasse di togliere le macchie scure. «Uso anche il detersivo, le strofino con la spazzola, ma i segni restano» dice, mostrando i palmi neri segnati dai calli.

Ha cinquant’anni e ha lavorato in diverse aziende della zona, guadagnando tra i cinque e i sei euro l’ora. In quelle più piccole non ha mai avuto un contratto e riceveva la paga in contanti, a fine giornata. Di recente, per tre anni, è stato in un’impresa che vende i kiwi a Zespri dove sono impiegati oltre settanta lavoratori. A comandarlo una supervisora che lo sgridava, urlando, non appena si fermava per qualche istante.

«MI INSULTAVA E MINACCIAVA DI PICCHIARMI». Nei campi, la caporale lo ha filmato per tre volte con il cellulare mentre si fermava per bere o perché gli era entrato qualcosa negli occhi. I video servivano – almeno così minacciava la supervisora – come «prova» della sua scarsa efficienza e venivano consegnati al capo dell’azienda: un «avvertimento» usato anche con altri lavoratori, per non retribuire le giornate. Alla domanda sul perché non se ne sia andato via subito, Gurjinder risponde prendendosi il viso tra le mani e soffocando i singhiozzi.

«NON AVEVO SCELTA, DOVEVO GUADAGNARE per i miei quattro figli e mia moglie. Sono rimasti in India, non li vedo da tredici anni. Eravamo poveri quando sono partito: per arrivare qui ho dato 14 mila euro a un trafficante. Sono dovuto passare dalla Russia, camminando a piedi nella neve per chilometri e poi caricato sui camion». Gurjinder si esprime quasi soltanto in punjabi. «Non impariamo mai bene l’italiano, siamo tutti stranieri nei campi».

SE UN INDIANO PARLA ITALIANO, rischia di venire mandato via dai capisquadra perché è considerato più difficile da controllare, dato che potrebbe stabilire un rapporto diretto col capo della ditta. «Vogliono sempre che si lavori velocemente, gridano di sbrigarsi. Quando danno i soldi però, tolgono alcune ore dalla busta paga e non retribuiscono tutti i giorni di lavoro», riferisce Amandeep Singh. Da vent’anni in Italia, racconta di essere stato trattato male in continuazione.

In passato ha lavorato a Cisterna di Latina, in un consorzio produttore di kiwi per Zespri, dove ha accettato stipendi da 4,50 euro l’ora pur di avere un contratto e rinnovare il permesso di soggiorno. Le giornate potevano durare dieci ore, per sette giorni a settimana, oltre i limiti imposti dal contratto provinciale.

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«IN BUSTA PAGA SCRIVEVANO 600–700 EURO e mi davano 200–300 euro in nero, togliendo dalle tre alle sette ore di lavoro», spiega. Una pratica che non riguardava solo quel posto: «Tutti i padroni fanno lo stesso». Nel suo curriculum c’è un’altra delle organizzazioni di produttori con licenza Zespri per cui ha lavorato due anni fa per cinque euro l’ora. Amandeep si è ritrovato anche a vivere per due anni nel tempio sikh di Velletri, senza pagare affitto, cibo né luce perché non poteva permettersi una casa. «Sono da 20 anni in Italia e ho visto almeno 700 persone nelle mie stesse condizioni» dice.

MOLTI TEMPLI, CHIAMATI GURDWARA, sono ricavati da capannoni dismessi. Quello di Velletri è un unico stanzone dalle pareti rosa, con il pavimento ricoperto di tappeti e carta colorata che scende dal soffitto. L’altare, in fondo, ricorda un letto a baldacchino: da lì il ministro di culto – il granthi – legge il Libro sacro con scritti i precetti tramandati dai dieci guru del Sikhismo ai fedeli, una serie di azioni positive che ognuno deve compiere per progredire nell’evoluzione personale.

Al tempio si preparano pasti a tutte le ore per i fedeli e per chiunque ne abbia bisogno. Si mangia insieme, seduti sul pavimento di una grande sala con muri fatti di pannelli verdi di plastica. I più giovani passano a distribuire cibo e bevande.

PARAMJIT SINGH E’ OCCUPATO nella stessa ditta nominata da Gurjinder e Amandeep: «Mentre lavoriamo la caposquadra ci urla all’orecchio di essere più veloci. Tratta in modo diverso indiani e rumeni: i suoi connazionali stanno vicino al rimorchio dove si caricano i kiwi, così fanno meno fatica».

Paramjit lavora otto ore al giorno per 6,50 euro l’ora nel periodo di raccolta, altrimenti la paga è di un euro in meno. In quest’azienda sono passate più di mille persone che, appena hanno potuto, se ne sono andate», ricorda il mediatore, mentre traduce Paramjit. Mandeep Singh conferma le testimonianze di Gurjinder, Paramjit e Amandeep. La caposquadra «era cattiva, urlava parolacce», si vergogna di ripeterle.

PER MANDEEP SONO STATI ANNI di vessazioni, durati fino a quando è stato licenziato. La sua «colpa» sarebbe stata quella di aver lavorato per altri – senza contratto – mentre lì la raccolta era finita. L’azienda in questione, messa al corrente delle irregolarità raccontate, ha rigettato le accuse: «Sono tutti in perfetta regola così come previsto dalle norme, ma sono soprattutto rispettati», ha risposto per email. Dichiara di collaborare con i sindacati e di sottoporsi con disponibilità alle verifiche degli organi di controllo.