«La situazione è critica e tutti gli indicatori, le portate e le temperature, ci dicono che dobbiamo essere pronti ad affrontare un altro anno di crisi idrica» ha detto ieri Alessandro Bratti. Le parole del segretario generale dell’Autorità distrettuale del Fiume Po richiamano un rischio che percepisce chiunque abbia visto da vicino e attraversato il più lungo corso d’acqua del Paese nel corso di quest’inverno scarico di precipitazioni: «Il tema vero è capire se tra fine mese e marzo arriveranno precipitazioni tali da portare una certa riserva idrica da poter usare quando inizierà il periodo irriguo» ha aggiunto Bratti. La crisi del Po riguarda in particolare la parte nordovest del bacino, cioè Piemonte e Lombardia, perché lì non ha nevicato.

L’ALLARME siccità è stato lanciato ieri anche da Legambiente, che riportando i dati di Cima Research Foundation segnala come la quantità di neve sia dimezzata sulle Alpi, in un contesto in cui laghi (come il Garda tra Lombardia, Veneto e Trentino) e fiumi (non solo il Po) sono in forte sofferenza, quasi in secca come la scorsa estate: corsi d’acqua che hanno raggiunto uno stato di severità idrica «media» a metà febbraio sono presenti in tre delle sette autorità di distretto, quelle del Fiume Po, dell’Appennino settentrionale e dell’Appennino centrale. Per questo Legambiente ha lanciato ieri un appello al Governo Meloni, indicando le priorità per una strategia nazionale idrica.

Legambiente pensa a una strategia strutturata in otto punti, con interventi di breve, medio e lungo periodo che favoriscano da una parte l’adattamento ai cambiamenti climatici, e dall’altro permettano di ridurre da subito i prelievi di acqua evitandone anche gli sprechi. A partire dai prossimi mesi, spiega l’associazione, quando «la domanda di acqua per uso agricolo si aggiungerà agli attuali usi civili e industriali che sono già in sofferenza e il fabbisogno idrico nazionale sarà insostenibile rispetto alla reale disponibilità».

OTTO SONO I PILASTRI di questa nuova agenda, secondo Legambiente: favorire la ricarica controllata della falda facendo in modo che le sempre minori e più concentrate precipitazioni permangano più a lungo sul territorio invece di scorrere velocemente a valle fino al mare; prevedere l’obbligo di recupero delle acque piovane con l’installazione di sistemi di risparmio idrico e il recupero della permeabilità e attraverso misure di de-sealing in ambiente urbano; in agricoltura prevedendo laghetti e piccoli bacini; interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato e permettere le riduzioni delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione; implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura attraverso le modifiche normative necessarie; riconvertire il comparto agricolo verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti; utilizzare i criteri minimi ambientali nel campo dell’edilizia per ridurre gli sprechi; favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti; introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in tema idrico, come avviene per gli interventi di efficientamento energetico, per tutti gli usi e per tutti i settori coinvolti.

«Il 2023 è appena iniziato, ma sta mostrando segnali preoccupanti in termini di eventi climatici estremi, livelli di siccità. Bisogna da subito ridurre i prelievi nei diversi settori e per i diversi usi prima di raggiungere il punto di non ritorno» commenta Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente.

Anche Alessandro Bratti ha commentato i dati diffusi da Legambiente: «Il problema esiste, la situazione è critica in maniera differente sul territorio, ma non è drammatica. Chi sta peggio è il Piemonte e una parte di Lombardia». Va un po’ meglio nella parte più meridionale del bacino, in Appennino. Il segretario dell’Autorità cita l’esempio della «diga di Ridracoli in Romagna, ha invasato molto acqua». Bratti conferma, però, che «tutte le portate da tempo sono costantemente sotto le medie, ma un conto è essere sotto le medie, un conto sotto i minimi e dai dati attualmente non è così».

E SE È VERO che la magra del fiume Po c’è sempre stata nel periodo gennaio-febbraio, questo accadeva perché nevicando l’acqua si fermava sulle Alpi fino alla primavera. Se invece la neve che c’è in Appennino «si dovesse sciogliere tutta adesso con l’aumento delle temperature», quella registrata nell’ultima settimana ad esempio, «allora il rischio è arrivare a maggio con forte richiesta ma senza acqua a sufficienza» ha detto Bratti. In conclusione, «la situazione è complessa e speriamo non si ripeta così per anni consecutivi troppe volte, se no si entra in grandissima difficoltà».