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Sindrome da alienazione parentale, i giudici se ne lavano le mani: niente indagini, basta il consulente tecnico

Sindrome da alienazione parentale, i giudici se ne lavano le mani: niente indagini, basta il consulente tecnico

Pas, i tribunali eludono il Codice civile Nonostante le norme siano chiare, nella maggior parte dei casi di separazione con denunce di violenze i minori non vengono ascoltati. Emblematica la storia del figlio di Deborah Delle Donne: «Il consulente nella relazione l’ha chiamato con un altro nome, non ha citato gli episodi di violenza raccontati dal bambino e alla fine ha definito "genitore succube" il padre»

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 25 ottobre 2022

«La tutela del minore in questi giudizi (i procedimenti che lo riguardano, ndr) si realizza mediante la previsione che deve essere ascoltato, e costituisce pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore il suo mancato ascolto». Così la Corte di Cassazione nella sentenza 9691/2022, in risposta al ricorso di Laura Massaro che da anni si batte per il figlio. I minori vanno ascoltati, nei casi di separazione, tanto più in presenza di denunce di violenza, sia sulle madri, sia su di loro. E dovrebbe essere direttamente il giudice a farlo.

Non si tratta soltanto di una pronuncia della Corte. Lo dice il Codice civile in modo esplicito. L’articolo 315 bis, terzo comma, riconosce «il diritto del fanciullo – che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento – a essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano».

Un diritto esplicito, dunque. A cui si aggiunge l’articolo 336 bis in base al quale il minore deve essere ascoltato dal giudice «nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo interessano». Più chiaro di così. E invece no. Il figlio di Laura Ruzza, ad esempio non è mai stato ascoltato neanche dal tutore o dai servizi sociali. Né tantissimi altri.

Il figlio di Deborah Delle Donne è stato invece sentito da un consulente, ipotesi prevista, su delega del giudice. Racconta Donatella Bussolati, difensore di Deborah: «Il consulente l’ha sentito e nella relazione l’ha chiamato con un altro nome, non ha citato gli episodi di violenza raccontati dal bambino, che è stato molto preciso, e alla fine ha definito “genitore succube” il padre». Qualcosa potrà cambiare con la riforma del Codice civile? Piccole modifiche sono all’orizzonte.

Recita il comma 23, lettera b dell’articolo 1: «Qualora un figlio minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, prevedere che il giudice, personalmente, sentito il minore e assunta ogni informazione ritenuta necessaria, accerta con urgenza le cause del rifiuto ed assume i provvedimenti nel superiore interesse del minore, considerando ai fini della determinazione dell’affidamento dei figli e degli incontri con i figli eventuali episodi di violenza». È un po’ poco, ma almeno la violenza fa la sua comparsa nella prateria della parità fasulla introdotta dalla legge 54 sull’affido condiviso.

Lo stesso comma aggiunge: «Il consulente del giudice eventualmente nominato si attiene ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee agli stessi». Sarebbe finalmente ora. Cacciare via la Pas dai tribunali d’Italia.

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