Fino a poco tempo fa, il sito ufficiale della Sierra Leone Football Association (Slfa) riportava una classifica del locale campionato di calcio, la National Premier League, ferma a metà stagione del 2014; l’ultimo titolo in albo d’oro assegnato, invece, risale addirittura al 2012-13, quando i Diamond Stars di Koidu si sono aggiudicati il secondo campionato della loro storia. La squadra aveva replicato la vittoria dell’anno precedente, la prima dalla fondazione del campionato risalente al 1968 da parte di una formazione non proveniente dalla capitale Freetown.

La stagione 2013-14 nel Paese dell’Africa Occidentale non si è mai conclusa: a causa dell’imperversare dell’epidemia di Ebola, il 4 agosto 2014 la SFLA cancellò tutte le partite di calcio in programma, con l’intento di fermare il diffondersi del terribile virus, seguendo l’esempio della Liberia che aveva preso la stessa decisione una settimana prima. Il giovedì precedente, l’allora presidente della Sierra Leone, Ernest Bai Koroma, aveva dichiarato l’emergenza sanitaria pubblica mentre l’Ebola avanzava, rapida, inarrestabile e inesorabile, nell’intera area occidentale del continente e non mostrava segni di rallentamento. Anche gli impegni della nazionale furono annullati: a Mohamed Kallon, vecchia conoscenza del calcio italiano e vero e proprio idolo locale, e ai suoi compagni fu vietato di volare nelle Seychelles, dove era in programma una partita di qualificazione a causa del rifiuto di concedere il visto di ingresso ai giocatori da parte del Ministro della Sanità dell’arcipelago dell’Oceano Indiano. Le misure adottate per fermare il calcio in Sierra Leone, Liberia e Guinea a causa della diffusione di Ebola divennero note come football ban.

La Sierra Leone fu finalmente dichiarata libera dall’Ebola il 7 novembre 2015, seguita dalla Guinea nel dicembre dello stesso anno, ma il virus ha continuato a mietere vittime fino al 2016: i morti nel Paese, a causa dell’epidemia, sono stati stimati in circa 4.000 (11.000 in tutta l’Africa Occidentale), e le conseguenze sull’assetto sociale ed economico sono state drammatiche. I governi di tutto il mondo e le organizzazioni umanitarie hanno versato milioni di dollari alle tre nazioni maggiormente colpite dalla diffusione dell’epidemia per sostenerle, ma le autorità locali in Sierra Leone sono state accusate di corruzione e uso improprio dei fondi. Nonostante la popolazione locale abbia spinto il governo centrale a perseguire i corrotti, però, non si sono ancora tenuti processi per lo spreco delle risorse destinate all’emergenza Ebola.

Anche il calcio, in Sierra Leone, ha conosciuto la corruzione dei suoi vertici istituzionali: il football ban nel Paese fu tolto nel dicembre 2015 (in Liberia a settembre dello stesso anno e in Guinea a gennaio 2016) e nello stesso mese il National Sports Council, identificabile con il Ministero dello Sport, decise di sciogliere l’intero comitato esecutivo della Football Association; ma la Sfla si rifiutò di accettare la decisione del governo.

La lotta di potere tra Nsl e Slfa si concretizzò in una spaccatura tra le squadre che stavano per prendere parte al campionato 2016, quello che avrebbe dovuto segnare la rinascita del calcio dopo il lungo stop a causa dell’epidemia: 11 delle 14 squadre iscritte alla Premier League decisero di staccarsi, non riconoscendo la legittimità dei vertici federali, e formare un proprio campionato che, però, terminò a inizio 2016 a causa della scarsa affluenza di pubblico.

Il 7 settembre 2016, il presidente Slfa, Isha Johansen, il suo vice Brima Kamara e il segretario generale Christopher Kamara furono arrestati dalla Commissione Anti Corruzione per non aver fornito rapporti sui rendiconti finanziari e sull’uso del denaro da parte della federazione; i tre furono rilasciati su cauzione dopo aver trascorso una notte in carcere. La Fifa supportò i vertici federali nella vicenda, dopo averli ascoltati, con un comunicato ufficiale nel quale dichiarava di non aver ragione di sospettare che la Slfa avesse fatto un uso improprio dei fondi che la stessa federazione internazionale aveva versato per far ripartire il calcio nel Paese.

A settembre 2017 Isha Johansen è stata incriminata, insieme a Christopher Kamara, per le stesse accuse: la Fifa, a ottobre 2018, ha quindi preso le loro parti, annunciando la sospensione fino a nuovo ordine della Federazione della Sierra Leone, denunciando un’ingerenza da parte delle autorità del paese nella regolare organizzazione della Federazione nazionale. In particolare, la Fifa ha accusa il Ministro dello Sport del licenziamento del presidente e del segretario generale della Federazione calcistica della Sierra Leone.

Per arrivare a un vero e proprio semaforo verde per il campionato della Sierra Leone si è dovuto attendere quest’anno. Il governo della Sierra Leone è intervenuto direttamente, sopperendo al ban della Fifa che non finanzia più la Federazione dallo scorso ottobre, versando la cifra record di 2 miliardi di leoni, pari a circa 210 mila euro, per garantire la ripartenza del campionato, ripartendola tra le squadre partecipanti (per sostenere iscrizione e spese), premi e arbitri.

Il 27 gennaio finalmente si sono potute sfidare East End Lions e Mighty Blackpool per il match inaugurale della prima giornata della Premier League, la prima dopo cinque anni. Le difficoltà per partire, nonostante i fondi erogati dal governo, sono state notevoli: il board della Premier League della Sierra Leone aveva fissato il 10 gennaio come ultimo giorno utile per completare l’iscrizione al campionato; ma solamente sei dei tredici club coinvolti erano stati in grado di rispettare la scadenza. Così la deadline è stata posticipata, in modo da arrivare al calcio d’inizio della stagione con il tabellone completo in ogni sua casella.

Isha Johansen, che ha avuto e continua ad avere un ruolo cruciale nello sport e nella politica della Sierra Leone, è una delle poche donne al mondo ad aver guidato una federazione calcistica nazionale, insieme a Lydia Nsekera, l’ex presidente della Burundi Football Association, Izetta Sombo Wesley, ex leader della Liberia Football Association e Sonia Bien-Aime, a capo della Turks and Caicos Islands Football Association.

Nata nel 1965, Isha è un’imprenditrice, diventata un modello in tutta l’Africa: nel 1993 è diventata la prima donna editore nella storia della Sierra Leone, con la pubblicazione del Rapture Magazine. Ha anche contribuito all’edizione dell’Ovation magazine; inoltre ha fondato il Pink Charity Fund per combattere il cancro al seno nel 2006 e i Women of Excellence Awards.

Sposata con il console norvegese in Sierra Leone, Arne Birger Johansen, ha fondato insieme a lui nel 2004 il Football Club Johansen, nato con l’obiettivo di dare speranza e opportunità a un gruppo di ragazzi le cui vite erano state sconvolte dalla lunga guerra civile che mise in ginocchio il Paese tra il 1991 e il 2002.

Isha Johansen divenne presidente della Slfa nel 2013, senza contendenti: la leggenda del calcio della Sierra Leone, Mohamed Kallon (che ha un club in Premier League intitolato a suo nome) fu escluso dalle elezioni, insieme ad altri due avversari, per problemi inerenti alla sua residenza. Fu anche inclusa da alcuni media tra i possibili successori di Blatter, quando l’elvetico fu spinto a lasciare la presidenza FIFA in seguito agli scandali che lo coinvolsero. Con il supporto della Fifa e della Caf (Confederation of African Football), Johansen ha anche dato il via a Powerplay, un’iniziativa per incoraggiare donne e ragazze a giocare a calcio.