In una serata magica, Scamacca diventa Benzema e la Dea vola in paradiso, portando Bergamo nell’Olimpo del calcio. Mentre a San Siro una Roma operaia dà una bella lezione tattica e mentale a Leao e compagni.

Impresa storica dell’Atalanta

Nell’andata dei quarti di finale di Europa League impresa storica della squadra di Gasperini ad Anfield: strapazzato con uno 0-3 mai in discussione il Liverpool primo in Premier e in corsa per il treble. La squadra di Klopp non è mai stata veramente in partita a parte qualche spezzone di gara, ed è impazzita per le marcature a uomo e le ripartenze incendiarie dell’Atalanta.

Serata strana per il Liverpool: sciopero degli striscioni della Kop contro il rincaro dei biglietti, formazione zeppa di riserve nel primo tempo, la sensazione di aver sottovalutato totalmente avversario e serata. L’allenatore tedesco, al suo ultimo valzer con i Reds, si è difeso dicendo che senza Salah e gli altri titolari il primo tempo si è chiuso sullo 0-1, mentre con tutti in campo il parziale è stato di 0-2.

Importa poco. L’Atalanta europea è un treno che non fa fermate. L’ultima squadra a vincere qui è stato il Real Madrid, e le italiane ad averlo fatto non riempiono le dita di una mano.

L'atalantino Scamacca in azione contro il Liverpool in Europa League
L’atalantino Scamacca in azione contro il Liverpool in Europa League, foto Ap

L’inizio è subito tambureggiante, con i primi 10 minuti tutti in avanti. Il Liverpool reagisce attorno al quarto d’ora con un tiro fuori di poco di Nunez e un palo di Elliott, ma la partita dei Reds più o meno finisce qui. Non quella di Scamacca e De Ketelaere. Le punte di Gasperini si infilano come onde in un Liverpool con la testa altrove.

Il centravanti romano infila al 38’ e al 60’ due tiri in contropiede imparabili, mentre all’83’ un erroraccio incredibile di Gomez in disimpegno apre le porte al terzo gol firmato Pasalic e al paradiso bergamasco. Solo 30% di possesso palla per la Dea, ma letale.

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Per dare un’idea dell’evento: per il Liverpool è la prima sconfitta in 34 partite tra le mura di casa. E il 3-0 è la sconfitta casalinga più pesante in una competizione europea. L’Atalanta poteva perfino maramaldeggiare, con almeno un paio di occasioni facili sciupate. Gasperini in Europa è uno schiacciasassi: non perde in trasferta da 11 partite, 6 anni.

L'atalantino Scamacca in azione contro il Liverpool in Europa League
Tifosi dell’Atalanta in festa a Liverpool per la vittoria 0-3 in Europa League, foto Ap
Gian Piero Gasperini dopo la partita
«A volte si parla di coppe, di trofei. Quando però ognuno di noi riesce a fare qualcosa che non ha mai fatto nella sua storia, magari non è una coppa, magari non è un trofeo, ma rimane comunque un risultato straordinario, perché è qualcosa che non si era mai riusciti a raggiungere, e questo penso valga per chiunque nella vita. Ognuno ha i suoi traguardi e quando li supera può giustamente essere molto felice. Noi questa sera lo siamo»

Nulla è definitivo nel calcio, e il Liverpool non è certo nuovo a rimonte clamorose. Ma è sicuro che la vittoria di Gasperini contro i favoriti della competizione (e quella contemporanea a Milano dell’esordiente De Rossi contro l’esperto Pioli) dimostra che la scuola italiana non è così da buttare come dicono.

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La Roma vince a San Siro

Nella settimana in cui la stampa sportiva tricolore ha fatto a gara nello sputare nel piatto in cui mangia, contrapponendo la bellezza unica di Real Madrid-Manchester City alla fatica quotidiana di una serie A operaia, le vittorie di Atalanta e Roma dimostrano entrambe che nel calcio anche i favoriti, se vogliono vincere, devono mangiare pane e cipolle e pedalare sempre a testa bassa.

Dybala in Milan-Roma di Europa League
Dybala in Milan-Roma di Europa League, foto Ap

A San Siro, infatti, il copione non è stato molto diverso da quello del Merseyside. La Roma vince 1-0 esattamente come al derby di qualche giorno fa. Corner. Gol di Mancini di testa (e sono 5, nessun difensore europeo ha segnato come lui). Esultanza sotto la curva sud, ma stavolta è quella rossonera, e inchino ai romanisti nel terzo anello.

Un 1-0 mai in discussione, come contro la Lazio, e portato fino in fondo con tanto di fortino e arrocco finale della squadra di De Rossi.

Gol e inchino per Gianluca Mancini, foto Ap

Serata sghemba per il Milan, che arrivava da ben 7 vittorie consecutive. Eppure il Meazza era in grande spolvero: 75mila spettatori, vip e spalti dei tempi d’oro. Come i Reds, anche il Diavolo però sembrava con la testa altrove.

Fin dal riscaldamento, le tante star rossonere (Maignan, Leao, Pulisic, Loftus-Cheek, Theo Hernandez e chi più ne ha più ne metta) sembravano prepararsi più a un’esibizione che a un quarto di finale. Tacchettavano sorridenti e rilassati in una Milano strepitosa in versione estiva.

Solo Pioli, con il volto scuro come il vestito, osservava i suoi con preoccupazione, come se temesse quello che poi è accaduto.

Dall’altra parte, i romanisti si scaldavano senza sorrisi o distrazioni, compatti come una provinciale alla prova di maturità, umili e concentrati, come se la Roma l’anno scorso non fosse mai arrivata alla finale della competizione.

Che per il Milan non sia serata lo si capisce prima del calcio d’inizio, con El Shaarawy che a sorpresa si schiera sulla fascia destra invece della solita sinistra. Si rivelerà la mossa vincente di De Rossi: il turco Celik e il Faraone annullano due frecce stratosferiche come Theo e Leao. Pioli non riuscirà più a trovare una contromisura, e il campione portoghese sarà sostituito al 78’ tra i fischi di mezzo stadio dopo una partita evanescente, più per i fotografi che per lo sport.

Lampi di Leao, foto Ap

Forse ha pesato inconsciamente negli animi rossoneri l’incubo del campionato, con l’Inter che potrebbe cucirsi la seconda stella vincendo uno scudetto storico proprio nel derby.

Come il Liverpool, il Milan era ed è l’altra favorita per la finale di Europa League. Può recriminare per una traversa di Giroud all’86’. Ma la squadra di De Rossi, sempre più apollinea dopo la fase dionisiaca di Mourinho, quando è in serata fa tante partite in una, è capace di farsi concava e convessa, a turno domina nel palleggio o si appiattisce umilmente in difesa, pur senza grandissime qualità (a parte Dybala) ciascuno corre sempre per l’altro.

Per dirla con Sorrentino, questa Roma “non si disunisce” mai (quasi, mai). E vince a San Siro dopo una vita: ben 7 anni.

Nulla però, come dicevamo, è definitivo nel calcio, e tra sette giorni tutto questo racconto potrà essere completamente annientato, con i pronostici che tornano scontati, i campioni che fanno i campioni, i ricchi che vincono e le underdog che se ne tornano a casa.

Ma per oggi è così. A volte i “piccoli” vincono. E, come promette De Rossi quando i giornalisti gli chiedono della prossima partita: “Quando sarà, saremo”.