Siamo ancora sotto le bombe del patriarcato
Proveniamo da millenni di storia di un sesso solo in cui persino la narrazione delle società preistoriche ci è stata restituita dalla giovane disciplina archeologica ottocentesca europea carica dei preconcetti del suo modello di famiglia. E la nostra «essenziale funzione familiare» è ancora oggi sancita dalla Costituzione (art.37). Eccole: la natura coloniale della cultura classica, che Omero fonda su una guerra; la politica patriarcale che ha reso le donne invisibili nei secoli; l’asimmetria del potere e della lingua sorgente che coinvolge anche chi lotta per la stessa causa.
È il sessismo incarnato delle nostre società, la struttura (per tirare in ballo Marx) su cui si incista la sovrastruttura data dai modi in cui i corpi sono rappresentati dentro ai processi sociali e culturali, a dirci che l’identità di genere il patriarcato l’ha impressa su tutte/i.
Gli stereotipi sono solo un sintomo, dunque. Il problema è negare il costo che c’è dietro alla cura di quei confini e la materialità dei corpi che stanno già cambiando il mondo.
Che questa patriarchia, ovvero l’esercizio di tenersi stretto il potere, si stia facendo feroce ha il suo sintomo sia nelle violenze quotidiane che nelle guerre (entrambi omicidi di potere), come in molti esiti elettorali di cui sarebbe utile anche una lettura geopolitica femminista (Gago). Si capirebbe meglio, così, quale sistema difende la vittoria dell’ultrafascista Milei in quell’Argentina politicizzata dai femminismi dal 2015, quando a essere uccisa fu la quattordicenne incinta Chiara Paez, paese in cui l’aborto è diventato legale dopo ben 72 anni di lotte, alla fine del 2020.
Come sarebbe bene che i media provino a usare con minor leggerezza gli strumenti di quel potere che negano (per conservarlo o per sostituirlo poco cambia: è sempre di un altro la stanza) ma ai cui privilegi sembrano difficilmente rinunciare. E ancora, se certi intellettuali facessero lo sforzo di aprire la finestra vedrebbero piazze giovani e fuori norma, costruite in otto anni di lotte da NUDM, oggi spinte dal vento di Giulia e di Elena, Antigone perché sorella che ha trasformato il dolore in rifiuto politico, come già fecero le argentine, appunto.
Decostruire la maschilità, io credo, significa prima di tutto relazionarsi invece di vendicarsi: non servono gli stessi diritti se non c’è lo stesso rispetto. Occorre uscire fuori a sporcarsi le mani con la cura del mondo così come le donne fanno da anni, convinte che i corpi collettivi possano conquistare la vita. Ci guadagneremmo tutte/i in salute sociale.
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