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Buone pratiche educative contro i fantasmi del gender

Buone pratiche educative contro i fantasmi del genderfoto Ap

28 e 29 settembre È il decimo anno che la rete Educare alle differenze organizza incontri e formazioni proprio per affrontare silenzi e tabù che a scuola rischiano di trasformarsi in malessere, autolesionismo, violenze, dispersione scolastica

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 28 settembre 2024

«Ci sono tutte quelle cose su cui la società tace senza rendersene conto, destinando a un disagio solitario chi quelle stesse cose le sente senza saperle nominare», scrive Annie Ernaux in Gli anni.

Educare alle Differenze incontra docenti e scuole proprio per scardinare quei tabù, quegli stereotipi, quei silenzi. Oggi e domani proveremo a farlo di nuovo nel nostro meeting nazionale, che quest’anno si svolgerà a Roma presso l’Istituto Superiore R. Rossellini.

È il decimo anno che la rete Educare alle differenze organizza incontri e formazioni proprio per affrontare silenzi e tabù che a scuola rischiano di trasformarsi in malessere, autolesionismo, violenze, dispersione scolastica. Il rischio, d’altronde, è estremamente concreto: sessismo, bullismi, razzismi, omolesbobitransfobia sono realtà che le giovani generazioni conoscono bene. Le conoscono in primis perché fanno parte della società che abitano, una società maschilista al punto che diventa problematico declinare col genere giusto i nomi delle cariche politiche più importanti. Le conoscono perché discriminazioni e violenze fanno parte della loro vita quotidiana, dentro la scuola, sugli smartphone e a casa.

Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin il ministro Valditara aveva varato il Piano nazionale per l’educazione al rispetto, un documento profondamente inadeguato che fortunatamente si è arenato. In compenso, il ministro ha recentemente emanato, nonostante il parere sfavorevole del Cspi, le nuove Linee guida per l’Educazione Civica, dove si cita la violenza di genere solo per il triennio della scuola secondaria di secondo grado, affrontandola nei termini di «occupabilità e imprenditorialità femminile». Quello che questi provvedimenti delineano è una interpretazione debolissima della violenza maschile contro le donne, colpevolmente emergenziale, inutilmente repressiva e per nulla orientata alla prevenzione e decostruzione della cultura patriarcale che la rende possibile.

Attraversando la scuola in questi dieci anni di lavoro abbiamo invece incontrato moltissime persone che si impegnano con fatica e spesso senza risorse per portare avanti ciò che davvero serve a prevenire le violenze di genere: un’educazione trasformativa, realmente plurale, egualitaria e aperta. Solo così si possono abbattere pregiudizi e tabù dai quali nascono violenza, discriminazione e disuguaglianze. Invece di garantire fondi e continuità a questi interventi, però, il governo Meloni cala la mannaia con una becera propaganda “anti gender” e con iniziative legislative. Ne sono un esempio la risoluzione del leghista Sasso, approvata presso la commissione Cultura della Camera, o il ddl Ravetto, dal nome della parlamentare della Lega che l’ha presentato a maggio, che nell’articolo 2 propone di vietare nelle scuole obiettivi educativi basati sulle «teorie del gender».

Lo scopo è mettere al bando chiunque sostenga che identità di genere, sesso e orientamento sessuale siano indipendenti o variabili nel tempo. Questa è una mostruosità scientifica, oltre a una chiara dichiarazione d’intenti. La destra vuole chiudere università e centri di ricerca, espellere i Gender Studies e gli studi delle donne dal nostro paese e riportarci a un passato privo di diritti e uguali opportunità. D’altronde la polemica di ieri sull’incontro all’Università Roma Tre, promosso per uno studio scientifico di natura qualitativa sul benessere di infanzia trans* e gender creative, non testimonia altro

La buona notizia è che il mondo della scuola e buona parte della nostra società sta da un’altra parte. Non teme chi ha un background migratorio e lo dimostrano le oltre 600mila firme del referendum per la cittadinanza. Non teme che la transfobia sia un virus e lo dimostrano le centinaia di scuole che hanno attivato le carriere alias. I migliaia e le migliaia di insegnanti che in questi 10 anni abbiamo incontrato combattono sanzioni e isolamento, crescono di numero e si fanno sempre più competenti: la stessa crescita della nostra rete Educare alle Differenze ne è prova. Non staremo in silenzio e lo dimostreremo a cominciare da questo weekend, alla decima festa di lotta e buone pratiche educative.

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