«Si parla troppo e si fa poco», ma il sesso c’entra eccome
VIOLENZA MASCHILE In risposta alla intervista che Cesare Moreno ha rilasciato al Corriere del Mezzgiorno a proposito degli episodi di stupri di gruppo di Palermo e Caivano
VIOLENZA MASCHILE In risposta alla intervista che Cesare Moreno ha rilasciato al Corriere del Mezzgiorno a proposito degli episodi di stupri di gruppo di Palermo e Caivano
Il 26 agosto, sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno, ho letto con grande attenzione e interesse l’intervista a Cesare Moreno sugli efferati episodi di stupri di gruppo di Palermo e Caivano. Il titolo scelto dal Corriere è il seguente, «Cesare Moreno: Si parla troppo e si fa poco. Il sesso non c’entra». Per quanto apprezzi da tempo la sua filosofia di vita e il suo eccellente e difficile lavoro sul campo con i Maestri di strada, ho qualche perplessità su alcune sue dichiarazioni che vorrei esplicitare qui alfine di aprire un dialogo e una riflessione. Certo, concordo pienamente sulla prima parte del titolo. Chi potrebbe negare che si parla troppo e si continua a non fare nulla per porre un argine a questa violenza mostruosa, agita da un maschile tronfio di sé e allo sbaraglio totale, che investe quotidianamente e in forme diverse le donne di tutto il globo? Nessuno, almeno credo e spero! Sulla seconda parte del titolo, e cioè che il sesso non c’entra, il mio disaccordo è totale. Mi sono anche molto meravigliata della facilità con cui tutto il suo discorso fa fuori questo elemento che, alla luce di ciò che succede ogni giorno alle donne, non è una cosa da poco ma, anzi, è la causa scatenante di ogni genere di sopruso.
Capisco bene quando dice che c’è una pericolosa inversione tra la rappresentazione e l’evento nell’epoca dei social ma, nel caso delle molestie, degli stupri e dei femminicidi, il sesso c’entra eccome. Basterebbe dare uno sguardo alla violenza strutturale che caratterizza il retroterra di formazione da cui emergono, senza distinzione di classe o di gradi accademici, tali eventi. Cesare Moreno dice anche che «la violenza non è dettata dal soddisfacimento della pulsione erotica», che «il sesso non è il fine ma il mezzo per compiere l’azione memorabile» e che «la colpa non è dei social ma della solitudine in cui vivono questi ragazzi». Ecco, queste affermazioni mi hanno provocato un serio disagio proprio perché, ripeto, stimo molto la persona di cui sto parlando. Dai dialoghi tribali che ho avuto modo di leggere sui giornali e sui social, questi ragazzi ce l’avevano eccome la pulsione erotica. Una pulsione erotica «lavorata» da un immaginario della sopraffazione che sembra essere l’unica «fonte» di in-formazione (se posso dir così) sulla sessualità. Il deterioramento di questa nobile pulsione abitata da Eros è il sintomo di una malattia che ha radici consolidate e, purtroppo, degradate a dismisura. Sulla questione del fine e del mezzo penso che da tempo c’è una confusione, alimentata soprattutto da un regime economico spietato e senza limiti, tra i due. Mi sembra che il mezzo si sia mangiato il fine, che tutto sia «funzionale a» e che la finalità non abbia più grande importanza nel tritacarne generalizzato dell’usa e getta.
Lo stupro non è forse l’apoteosi di questo? Usare il corpo e poi gettarlo dove capita o lasciarlo lì agonizzante. Senza pietà e senza ripensamenti. Questa forse è la cosa che ci deve fare più paura, questa assenza assoluta di sensibilità, di pietà, di ripensamento lucido su ciò che si è fatto. E qui vengo alla questione della solitudine. Avrei preferito che si parlasse di isolamento ma forse neanche questa parola mi avrebbe convinta più di tanto. La solitudine è una mia preziosa compagna di vita e lo è anche per molte donne che conosco e con cui condivido percorsi di vita. Non ci ha trasformate negativamente, anzi, ci è servita per crescere e per far fronte con maggiore consapevolezza alla realtà che ci sta ogni giorno davanti. La solitudine è lo spazio dell’immaginazione e della creazione, è il luogo in cui ci troviamo davanti a noi stesse/i senza maschere e senza finzioni. La solitudine è il terreno fertile da cui nascono le più belle e durature relazioni. Forse che l’obiettivo è stato quello di sostituire la fecondità della solitudine con la sterilità dell’isolamento? Eppure, qualcosa non mi torna. In questi due eventi i ragazzi erano in gruppo, forse isolati gli uni dagli altri, ma insieme, uniti dalla condivisione di un impulso bestiale, di un immaginario che li sostiene e addirittura li «apprezza» nel loro volersi dimostrare l’uno più bestiale dell’altro.
Sulla fine dell’intervista mi riappacifico con le parole di Cesare Moreno quando dice che «la relazione maschile/femminile non è oggetto di cura» che «non esiste un’educazione sentimentale e sessuale» e che «bisogna parlare con gli studenti, coinvolgerli in un’esperienza collettiva di significato su quanto è accaduto». Questi sono degli aspetti imprescindibili e necessari che devono ovviamente investire anche il tessuto familiare e sociale. È un nuovo «ambiente umano» che dobbiamo ricostruire, è un altro immaginario che deve nutrire le nostre fantasie e i nostri più reconditi desideri, è il cuore pulsante delle relazioni umane che va rimesso al centro della vita pubblica e della vita privata. Ne va di una rivoluzione culturale e sessuale che non può più attendere.
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