Si combatte ancora per Ras al Ayn. L’Iran offre la sua mediazione
Turchia/Siria I comandi curdi smentiscono la caduta della città e chiedono agli Usa l'imposizione di una zona "No-Fly" per fermare i raid aerei turchi. Tehran: occorre negoziato tra curdi, Ankara e Damasco
Turchia/Siria I comandi curdi smentiscono la caduta della città e chiedono agli Usa l'imposizione di una zona "No-Fly" per fermare i raid aerei turchi. Tehran: occorre negoziato tra curdi, Ankara e Damasco
«Abbiamo sempre attuato gli obblighi internazionali e adempiuto ai nostri doveri nei confronti del mondo ma oggi ci ritroviamo a che fare con due fronti separati. Uno è lo Stato turco, l’altro i mercenari dell’Isis». Redur Xelil, un comandante delle Fds curdo-arabe, con queste poche parole colme amarezza e delusione, ha descritto ieri lo stato d’animo della popolazione nel nordest della Siria invaso dall’esercito turco con l’appoggio di migliaia di mercenari del cosiddetto Esercito siriano libero (Esl). E anche di cellule dell’Isis, tornato a colpire dopo l’inizio dell’operazione militare ordinata da Recep Tayyib Erdogan. In Europa e altre parti del mondo si manifesta a sostegno del popolo curdo ma non basta. La superiorità delle forze armate turche è enorme, grazie alla copertura aerea. Per questo ieri i comandi militari e politici curdi sono tornati a richiamare Washington alle sue promesse. Chiedono una zona “No-Fly” che metta fuori gioco l’aviazione di Ankara. Inutile. Ed è tempo che i curdi del Rojava, in queste ore così difficili, bersaglio delle bombe turche e dei jihadisti, mettano da parte la speranza di ottenere aiuto dalla superpotenza americana che li ha abbandonati dopo averli usati. Gli imperialisti non sono liberatori ma amici degli oppressori e tali restano.
Pioveranno perciò ancora bombe sui centri abitati curdi e potrebbero essere anche italiane. La Turchia è il terzo paese verso cui l’Italia esporta armamenti, dopo Qatar e Pakistan. Nel 2018 l’Italia ha venduto ad Ankara armi per 362 milioni di euro rispetto ai 266 del 2017 e ai 133 del 2016. Si moltiplicano in Italia gli appelli per la fine delle forniture di armi ad Erdogan. In Europa qualcuno si è mosso in quella direzione ma è ancora poco. Ne sanno qualcosa a Serekaniye (Ras al Ayn) dove i combattimenti sono intensi, a tratti feroci. I curdi smentiscono che la città sia caduta come afferma il ministero della difesa turco. L’agenzia ANF ha diffuso filmati girati ieri da una sua troupe alla periferia di Serekaniye che confermano come diversi quartieri siano ancora sotto controllo curdo. Anche un ufficiale delle Fds, Diyar Amude, ha negato la caduta della città. «Siamo a Serekaniye – ha detto – Tutte le strade della città sono sotto il controllo delle Fds. Il morale dei nostri combattenti è molto alto. Abbiamo distrutto due veicoli, ucciso un alto numero di mercenari». Quasi tutti i civili però sono scappati verso Tal Tamr. Sono oltre 100mila gli sfollati da Serekaniye, Tal Abyad e molte altre località investite dalla potenza di fuoco dei turchi. Il bilancio di vittime intanto continua a salire. Centinaia fra i curdi (secondo Ankara), decine fra i mercenari dell’Esl e soldati dell’esercito turco.
Le Fds contro aerei e carri armati turchi non possono fare molto. Non temono invece i miliziani dell’Esl, poco addestrati allo scontro nei centri abitati e mandati allo sbaraglio da Ankara, anche se ieri sono riusciti ad entrare nel distretto di al Senea e a prendere il controllo di un tratto dell’autostrada M4. Sono invece una spina nel fianco le cellule jihadiste dell’Isis e del ramo siriano di al Qaeda, determinate e letali come hanno dimostrato due giorni fa con il duplice attentato a Qamishlo. Ieri un altro gruppo qaedista, Ahrar al Sharqiya, ha detto di essersi unito all’avanzata turca e di essere pronto a colpire. Si tratta di formazioni che, assieme all’Esl, dopo il 2011 i paesi occidentali hanno appoggiato contro Damasco certi di provocare la caduta del presidente Bashar Assad. E le hanno descritte come «gruppi di combattenti della libertà» in lotta per «portare la democrazia» in Siria. In questi giorni mostrano il loro vero volto, in realtà già ben chiaro sin dall’inizio.
Sul piano diplomatico si muove poco ed Erdogan, incurante delle critiche e delle proteste in Europa, agisce ancora indisturbato. La Lega araba, che sotto la pressione saudita e qatariota, aveva espulso la Siria e avallato di fatto i piani per spaccarla in più parti, ieri invece ha chiesto rispetto per l’integrità del territorio siriano e il ritiro della Turchia. Simile l’appello a lasciare la Siria rivolto dal presidente russo Putin alle forze straniere “illegali”. Atteso in Arabia saudita ed Emirati, Putin ha aggiunto che se il governo siriano non avrà più bisogno dell’esercito russo, lui farà subito rientrare in patria i suoi soldati. Scende in campo anche Tehran, alleata come Mosca della Siria e parte del gruppo di Astana (Turchia, Russia e Iran). La Repubblica islamica offre la sua mediazione tra curdi, turchi e Damasco per un accordo di sicurezza lungo il confine turco-siriano.
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