Visioni

Sguardi del documentario in viaggio tra realtà appassionate

Sguardi del documentario in viaggio tra realtà appassionateUna scena da «Le belle estati» di Mauro Santini

Cinema Torino Film Festival 41, un percorso tra i doc dall’Argentina di Mariano Llinás al Time in Jazz di Paolo Fresu. In "Le belle estati" di Mauro Santini 60 studenti si confrontano con Pavese

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 5 dicembre 2023

Si è conclusa la 41esima edizione del Torino Film Festival e anche quest’anno la selezione dei documentari ha avuto un posto importante nella manifestazione; la lista dei film proiettati si è persino allungata rispetto al solito, proprio a sottolineare la vivacità e le tante direzioni di un fare cinema che non prescinde dallo «stare nel mondo».
Peccato solo per quel Nuclear Now di Oliver Stone che ha chiuso in «pompa magna» il festival – doc apologetico in salsa green sulla necessità di puntare sull’energia nucleare, con una spiacevole retorica che vorrebbe i movimenti no nuke finanziati dai grandi del petrolio e che, come ha dimostrato Cop28, è perfettamente in linea con i piani delle maggiori potenze occidentali.

IN ATTESA di conoscere la direzione che intraprenderà il «nuovo corso» con Giulio Base alla direzione – si vocifera già di un comitato di selezione stravolto – ripercorriamo alcuni degli «sguardi sul reale» più significativi di quest’anno. Dei due titoli vincitori – Notre corps di Claire Simon per i documentari internazionali e Giganti rosse di Riccardo Giacconi per gli italiani – si è già scritto su queste pagine; il Premio speciale della giuria se l’è invece aggiudicato il regista argentino Mariano Llinás con Clorindo Testa. Un film teoricamente dedicato all’omonimo architetto e pittore, che però fugge da tutte le parti: il protagonista potrebbe essere tanto il padre del regista, stretto amico di Testa, quanto il libro che gli ha dedicato o, infine, il regista stesso. Ma in questo gioco di specchi, condotto con grande ironia e spregiudicatezza nella «trasfigurazione filmica del reale», ecco comparire l’obiettivo ultimo ovvero riflettere sulla direzione che l’Argentina sta prendendo, verificando su queste due figure «paterne» – Julio Llinás e Clorindo Testa – i mutamenti storici che hanno stravolto il Paese nel secolo scorso. Una ricerca – condotta da un regista che si è fatto notare per il film fiume La Flor (2018), per la fondazione della casa di produzione-collettivo El Pampero Cine insieme a Laura Citarella e, come sceneggiatore, per Argentina, 1985 – che acquista una vena amara se pensiamo all’esito delle recenti elezioni.

Tornando in Italia, formano un dittico musicale interessante Paolo Conte alla Scala e Berchidda live. Il primo, diretto

Paolo Fresu in “Berchidda live”

da Giorgio Testi e nei cinema ancora oggi e domani, testimonia l’approdo – per la prima volta – di un cantautore nel tempio della lirica, rappresentando un segno di rinnovamento per un’istituzione artistica storica e prettamente urbana. Il secondo invece, diretto da Gianfranco Cabiddu, Michele Mellara e Alessandro Rossi, racconta la storia di Time In Jazz, il festival fondato dal trombettista Paolo Fresu nel suo paese natale Berchidda, in provincia di Sassari, ormai 35 anni fa. Un contesto in cui la natura è una presenza forte, e la musica non può che intessere un dialogo con il paesaggio. Tra i materiali d’archivio, girati a partire dalla fine degli anni ’90, ecco un giovane Fresu spiegare come il festival rappresenti un modo per creare un contatto nuovo con il suo paese, per far conoscere se stesso ma anche per stimolare riflessioni nel pubblico. Di sicuro, molti dei grandissimi musicisti che negli anni hanno suonato a Berchidda – tra gli altri, Carla Bley, Enrico Rava, Ornette Coleman, Stefano Bollani, Art Ensemble of Chicago – appaiono colpiti e positivamente «scossi» dall’immersione nell’entroterra sardo, dove la musica pulsa già nella diffusa a appassionata attività delle bande di paese, al cuore della stessa «chiamata» come musicista di Fresu. E c’è qualcosa di romantico nel legame che quest’ultimo, pluripremiato e riconosciuto a livello internazionale, continua a nutrire nei confronti della sua terra attraverso questo «dono» che è il festival.

ANDANDO PIÙ A SUD, è un esordio ben riuscito Lux santa di Matteo Russo, girato a Crotone tra i giovani tutti intenti nei preparativi per onorare «come si deve» la tradizione dei fuochi di Santa Lucia. In ogni quartiere viene fatta costruire una grande piramide di legno da ardere con l’obiettivo di arrivare più in alto e festeggiare «meglio» degli altri. Ciò che colpisce in Lux santa è la prossimità di Russo ai suoi protagonisti – d’altronde anche lui, classe 1992, è nato a Crotone – e mentre ci si organizza per la festa emerge una dura realtà di padri assenti, carcerati o in attesa di giudizio, con la difficoltà di capire quale sarà la propria strada.

E il futuro è una tensione che attraversa Le belle estati, il documentario di Mauro Santini che ha coinvolto circa 60 studenti e studentesse del Liceo Artistico Mengaroni di Pesaro, prodotto con il bando Cinema e Immagini per la scuola. I giovani leggono due romanzi brevi di Cesare Pavese – La bella estate e Il diavolo sulle colline – ma sono anche coinvolti nella realizzazione del film, registrando loro stessi il suono in presa diretta. Conosciamo il potere che la letteratura può avere, in quell’età in modo particolare, per conoscersi e delineare la propria personalità. La scrittura di Pavese, che restituisce un percorso doloroso verso la maturità, si fa così parola vitale in cui rispecchiarsi mentre le immagini mostrano un «habitat» in cui crescere tra scuola, città e natura. Un film che andrebbe fatto vedere a chi scredita i «giovani d’oggi» con banali e pretestuose argomentazioni: la loro generosità e profondità non può che emozionare.

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