In occasione della scomparsa di Italo Lupi, protagonista del design italiano e europeo del dopoguerra, ripubblichiamo un articolo uscito su Alias Domenica del 2 marzo 2014.

In un’epoca in cui le regole della creatività editoriale, cinematografica ed espositiva sembrano esclusivamente dettate dalle esigenze economiche di creare bestseller e blockbuster, la vita grafica di Italo Lupi pubblicata da Corraini appare con l’eleganza e la classe di un vestito fatto su misura che va oltre le barriere del tempo.

Contenitore e contenuto sono un’unica cosa. Alla vita, all’opera, all’idea di Lupi Autobiografia grafica veste a pennello: semplice, austera ma con un tocco di colore originale nell’aspetto esteriore; ricercata in ogni pagina nella leggerezza della carta, nell’equilibrio dei colori e nell’intreccio di parole e immagini.

Mai troppe, mai complicate. È il piacere dell’oggetto bello, pensato, da guardare e da toccare, da conservare, da regalare. La biografia, dopotutto, è una delle opere più complesse, delicate e, a volte, crudeli da realizzare, dovendo tramutare la vita di un individuo in parole. Un esercizio ancor più complicato (e delicato) se a farlo è il soggetto stesso: nel caso specifico, un personaggio dello spessore e dell’ampiezza di Italo Lupi, che è contemporaneamente architetto, grafico e creativo.

A lui si devono marchi e immagini che hanno segnato la storia italiana: quello della Rinascente nel campo della moda; della Triennale nel campo istituzionale insieme a tanti altri musei; il rinnovamento del concetto di rivista d’architettura, espresso nella sua direzione artistica di «Domus» prima, di «Abitare» poi; la grafica accogliente, festosa e armoniosa realizzata per le Olimpiadi Invernali di Torino e quella che oggi ci accompagna al grande evento dell’Expo. Solo per citare alcune delle sue azioni. Il rischio di fronte a tanta varietà è, evidentemente, l’appiattimento, riduzione o al contrario la celebrazione. Ma tutto questo non c’è nella sua Autobiografia che scorre leggera, allegra e piena di vitalità tra le mani e sotto gli occhi.

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Maestri e compagni intorno alle font

Progetti e idee di logotipi, poster, editoria, allestimenti, disegno urbano, ma anche amicizie, pensieri, dibattiti e letteratura riempiono le pagine senza gabbie raccontando la vita di Lupi e, allo stesso tempo, quella creatività italiana per cui il nostro paese è apprezzato e si distingue nel mondo. Lupi, in Oriente in modo particolare, affascina perché la sua semplicità ed essenzialità di forme, oltre ai riflessi anglosassoni, molto hanno in comune con l’eleganza sobria e la decoratività ricercata nipponica.

Di fatto, in Giappone, paese del packaging e del design, al Maestro Lupi hanno dedicato una raffinatissima mostra nel 2001 presso la galleria ggg di Ginza, lo spazio dedicato alla grafica d’eccellenza. Il piccolo catalogo realizzato in quell’occasione fu curato da Ikko Tanaka, uno dei maestri della grafica contemporanea a cui Lupi peraltro dedica un ricordo nell’Autobiografia (pag. 20) trascrivendo parte del suo intervento in occasione dell’apertura di quella mostra. Lupi riconosce in Tanaka, nella sua grafica ma anche nella sua sintesi contemporanea dello spazio dedicato al tè come luogo di silenzio, uno degli stimoli nella sua ricerca, ma evidentemente è un rapporto di stima e ispirazione reciproco.

Nel 2011, in occasione di un convegno sulla Scrittura tra Oriente e Occidente tenutosi a Venezia, molti furono i punti in comune con un altro grande maestro della grafica giapponese e coetaneo di Lupi, oltre che suo grande estimatore, Shin Matsunaga. L’uso del colore per campiture brillanti e piene (come nei calendari giganti per le Grafiche Mariano, pag. 244), la costruzione geometrica e architettonica delle forme che non tralascia mai però una giocosità fresca e fanciullesca (la «T» tridimensionale della Triennale; la carta intestata per il figlio Michele; i manifesti per «Domus», e quello scelto per festeggiare i cinquant’anni delle trasmissioni tv nella comunità europea, che tanto ricorda le geometrie curve e spezzate utilizzate da Ikko Tanaka per i «volti» di attori e danzatrici rivisitati in chiave grafica nei suoi manifesti); la linea semplice ma piena che diventa forma o scrittura (come nel poster per i cinquant’anni della Vespa, che traccia la silhouette del celebre scooter con lo stesso segno della mappa della metropolitana londinese e che ancora evoca le ultime figure di volti tracciati similmente da Tanaka per la Shiseido prima di mancare nel 2002).

Tutte immagini ricche, ma senza orpelli. Libere, ma rispettose dello scopo ultimo della grafica e dell’architettura che deve essere quello della leggibilità, della fruibilità, dell’informazione, dell’immediatezza. In ogni campo della ricerca, Lupi afferma che devono scattare «interrogativi, meccanismi di messa in crisi dei dati già accettati, incrinature e senso del divertimento. Quello che non ci può far accettare la infantile semplicità di una regola costantemente riapplicata, né il conformismo di adeguamento alle mode. Ma è anche coscienza che un buon progetto nasce da regole e premesse che doverosamente limitano il campo della libertà assoluta e creano un recinto di necessità dentro il quale il progetto deve muoversi».

Con diverse parole, lo stesso concetto l’ha pronunciato qualche settimana fa in un’intervista televisiva Renzo Piano, sottolineando la necessità di recuperare gli spazi urbani tornando alle piazze, a ciò di cui l’uomo ha davvero bisogno, consigliando la «timidina» come medicina per l’ego di tanti architetti. E lo stesso scriveva Italo Calvino nel suo saggio «La città scritta: epigrafi e graffiti», sostenendo la scrittura e la grafica «spiritosa, […]tale da muovere una riflessione illuminante o una suggestione poetica, o che rappresenta qualcosa di originale come forma grafica: perché il recepirne il valore […]implica una collaborazione del ricevente che se ne appropria attraverso un sia pur istantaneo lavoro mentale».