Seduti sul divano futurista
Avanguardie «Casa Balla. Dalla casa all’universo e ritorno», la mostra al Maxxi e la riapertura del celebre appartamento dove l'artista visse con le figlie disegnando mobili, decorazioni parietali, piatti, mattonelle
Avanguardie «Casa Balla. Dalla casa all’universo e ritorno», la mostra al Maxxi e la riapertura del celebre appartamento dove l'artista visse con le figlie disegnando mobili, decorazioni parietali, piatti, mattonelle
Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo gli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare complessi plastici che metteremo in moto». Gli esiti di questa volontà programmatica saranno tutti tangibili nelle scenografie teatrali e, naturalmente, nei luoghi della quotidianità, spogliati dell’ovvio per divenire «camere delle meraviglie».
QUANDO GIACOMO BALLA firmò questo manifesto insieme all’altro demiurgo Depero – era il 1915 – ancora non poteva sapere che quella ardita e scoppiettante rigenerazione dell’universo in un ambiente domestico sarebbe stata utilissima anche per coprire i tubi vecchi lasciati a correre sui muri dei corridoi della sua casa. L’avanguardia, a volte, ha risvolti prosaici. Come quel corridoio disorientante, con una gialla prospettiva a scatole cinesi, rivestito con il legno dipinto per mascherare armadi a muro in cui riporre «gli attrezzi del mestiere», colori, carte, fotografie, quadretti.
Balla sbarcò nell’appartamento di via Oslavia 39 nel 1929 quasi suo malgrado, costretto ad abbandonare la precedente abitazione ai Parioli, quartiere all’epoca dal sapore suburbano che si inoltrava nella campagna fuori Porta Salaria, finito nel mirino del regime fascista per una trasformazione radicale a suon di demolizioni.
NON AVEVA OTTENUTO nessuno studio come artista e così la sua casa di edilizia popolare prese la forma un atelier espanso, in cui ogni stanza entrava in relazione con un altro spazio piegando gli interni in un’opera totale rimbombante di echi cromatici – nei mobili, le tappezzerie, le decorazioni a parete, i soffitti, i lampadari, i piatti per la cucina, le mattonelle. Vi arrivò e vi morì quasi trent’anni dopo, nel 1958 a 87 anni, dopo aver vissuto lì, circondato dalle sue figlie Elica e Luce, «vestali» dedite alla figura paterna e anch’esse pittrici e realizzatrici di oggetti su disegno del genitore. Rimasero a via Oslavia fino alla loro scomparsa, avvenuta a metà degli anni 90 e la casa è imbevuta anche della loro personalità. In fondo, era una iridescente officina famigliare, plasmata con il certosino e visionario lavoro dei suoi abitanti (Elica a meno di 15 anni aveva già esposto con il padre Giacomo e altri futuristi alla galleria Pesaro di Milano).
Balla, però, negli anni seguenti, con la sua convinta adesione al fascismo (che nel frattempo andava a caccia dell’«arte degenerata»), si prodigò per rinnegare i suoi esordi futuristi, sviluppando anche un forte attrito con Marinetti. Eppure, appena nel 1925 aveva realizzato sia l’ingresso che la camera da letto del suo appartamento a Roma in quello «stile dinamico».
UNA VOLTA DISTRUTTO il tempio d’avanguardia di via Porpora, ai Parioli, a Balla non restò che reinventare gli spazi della casa di via Oslavia con geometrici perimetri destinati a una metamorfosi permanente, anche soltanto per i giochi della rifrazioni della luce e le «tappezzerie mobili», gli arazzi scomponibili. Il risultato – leggibile ancora oggi – è che la casa somiglia a un immenso palcoscenico, un ready-made percorribile, che si irradia all’infinito oltre i confini dei muri.
DOPO LA FORTUNOSA scoperta di parte dei murales del cabaret romano Bal Tik Tak che si credeva del tutto perduto – la cui entrata, a detta della figlia Elica Balla, era una specie di «ingresso fantasmagorico con fiamme infernali» (https://cms.ilmanifesto.it/un-fantasmagorico-inferno-per-danze-futuriste/) – , riaffiorato durante i lavori di ristrutturazione di una palazzina in via Milano di proprietà della Banca d’Italia, la dimora futurista, un unicum nella storia dell’arte, torna finalmente alla fruizione pubblica, dopo essere stata considerata per decenni una «malata illustre» e a quasi cent’anni dalla sua trasfigurazione.
MESSA IN SICUREZZA e restaurata, può essere visitata a partire da oggi, nei week end, e fino al 21 novembre grazie al progetto Casa Balla. Dalla casa all’universo e ritorno, a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Domitilla Dardi del Maxxi, che prevede un doppio sguardo nel caleidoscopico pianeta futurista con il tour dell’abitazione di via Oslavia e la mostra al museo: qui arazzi, disegni, bozzetti, mobili, arredi originariamente parte di Casa Balla – nella Galleria 5 – cercano un dialogo immaginifico con otto produzioni di autori contemporanei. Al Maxxi, si possono vedere anche la porta dello Studiolo Rosso e alcuni studi per i vestiti, provenienti dalla Fondazione Biagiotti Cigna e dalla Collezione Laura e Lavinia Biagiotti, che custodiscono un patrimonio di oltre trecento opere dell’artista.
Insomma, la quotidiana «plasmazione dell’atmosfera» dove tutto si compenetra in un dinamismo sfrenato è servita. Su piatti futuristi.
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