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«Se si va al voto, liste bis». Pd nel panico elettorale

Democrack Saltano i paletti, dai dem sì a Mattarella, a prescindere. Ma il Nazareno aveva sempre puntato a una legislatura che, comunque, sarebbe partita

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 8 maggio 2018

Appena il presidente Mattarella disegna la road map delle prossime settimane, una strada che bordeggia lo scioglimento delle camere, al Nazareno scatta la sirena. È allarme rosso. Cadono i paletti. Salta la condizione di un «sì al governo di garanzia se lo sostengono tutti», circolato fin qui. In un baleno diventa «Sì a prescindere». Renzi certifica che tutto il Pd sta su questa posizione. L’ex segretario inghiotte il malumore che aveva fatto filtrare sulla gestione dello «stallo» da parte del Colle: «Apprezzamento» per le scelte di Mattarella, dice ai suoi, «molto positiva» la valutazione del suo discorso.

«IL PD NON FARÀ MANCARE il suo sostegno all’iniziava preannunciata dal presidente», annuncia il reggente Martina.Il Pd è unanime, come in direzione, anzi stavolta lo è sul serio: unito dal panico da voto. Il Pd, renziano aveva scommesso tutte le sue carte su un governo M5S-Lega; o in subordine su un governo «di garanzia» che miracolosamente trovava i voti i parlamento. Il Pd non renziano aveva inutilmente previsto il peggio. Ora improvvisamente gli uni e gli altri debbono fare i conti con la precipitazione elettorale. Ettore Rosato ancora spera nel miracolo: «Il presidente della Repubblica dà alle forze politiche la possibilità di riaprire un dialogo vero tra di loro». Ma i 5 Stelle e la Lega annunciano subito che non saranno della partita.

COSÌ PER I DEM SI APRE lo scenario più temuto, quasi rimosso: il ritorno al voto in tempi rapidissimi, senza un segretario e con le guerre balcaniche al proprio interno. È il vero oggetto della discussione convocata di buon mattino al Nazareno, prima che la delegazione dem salga al Colle. Una riunione di caminetto allargata: oltre ai quattro che parleranno con Mattarella (Martina, Orfini, Delrio, Marcucci), c’è il coordinatore Lorenzo Guerini; ma anche Minniti, Calenda, Franceschini, Orlando, Cuperlo, Antoci – area Emiliano – e Fassino. L’intento di tutti è far risaltare «l’irresponsabilità» dei sedicenti vincitori che precipitano il paese nelle urne.
FIN QUI LA PROPAGANDA. Ora però il problema è: se si va a votare prima dell’estate, entro maggio, forse il 19-20, sarà convocata l’assemblea nazionale per eleggere un segretario. Sarà lui a fare le liste. Per evitare la sconfitta, le minoranze fanno circolare l’ipotesi di un governo di «triumviri». Subito bocciata senza appello dai renziani: «Nello statuto non c’è niente del genere». Nel caso di voto autunnale, una parte degli adepti dell’ex segretario pensa primarie a luglio. Se invece si votasse a luglio sarà l’assemblea a eleggere il futuro segretario e candidato premier Pd.

ANDRÀ COSÌ, PROBABILMENTE in entrambi i casi: «La prossima assemblea del Pd deciderà se convocare il congresso o eleggere direttamente il nuovo segretario, come previsto dallo statuto. È chiaro che la scelta sarà condizionata dall’evoluzione della crisi politico-istituzionale. E il Pd lo farà, ne sono certo, ricercando la massima condivisione possibile», dice Guerini.

PROPRIO GUERINI resta il più «papabile» fra i renziani in corsa per la segreteria (insieme a Graziano Delrio, che però ancora non si è lasciato convincere); dall’altra parte, e cioè dalla parte dei non renziani c’è solo Martina: la verticalizzazione della crisi non consentirebbe a Nicola Zingaretti, appena rieletto alla Regione di Lazio, di partecipare al congresso (del resto ha sempre detto di voler passare, nel caso, dalle primarie).
MA PERFINO I RENZIANI si rendono conto che se i tempi sono così stretti è decisamente meglio non spaccare il partito in una lotta fratricida. Martina dunque potrebbe restare segretario, ma a fare semplicemente il ’guardiano’ di liste-bis, uguali a quelle dell’ultima tornata. Al più con qualche aggiustamento per far spazio agli eventuali alleati di Leu. Guida della coalizione sarebbe Paolo Gentiloni, l’unico dem che gode di una qualche popolarità. Anche se domenica scorsa il premier ha escluso di assumere ruoli di primo piano dopo la sua uscita da Palazzo Chigi.

MA SONO TUTTI CONTI senza l’oste, fatti in fretta. Anche nel capitolo Leu. La formazione di Grasso non arriverebbe unita all’alleanza con il Pd: Sinistra italiana la esclude da tempo. Le differenze potrebbero misurarsi già sul governo «neutro» che oggi annuncerà Mattarella.

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