Di ciò che succede nella nostra testa mentre leggiamo, tutti noi (neuroscienziati esclusi) siamo felicemente ignari. Certo, sarebbe bello vedere in diretta quali parti del nostro cervello «si accendono» (per usare un termine amato appunto dai neuroscienziati), man mano che i nostri occhi procedono nella lettura di un libro. E di sicuro troveremmo appassionanti i dialoghi che quello stesso libro suscita fra le varie componenti della nostra personalità, come in Inside Out, il cui sequel – presto anche da noi – ha infranto ogni record al botteghino mondiale lo scorso fine settimana.

A pensarci bene, però, è probabile che questa ipotetica «lettura della lettura» si rivelerebbe stancante, aggiungendo fatica a fatica: leggere, infatti, è un’attività tutt’altro che riposante e richiede, per dare i meravigliosi frutti che ha in serbo, uno sforzo iniziale notevole e poi un allenamento continuo, proprio come con lo sport – un fatto, questo, che spesso gli entusiasti promotori della lettura si dimenticano di sottolineare.

Anche senza essere stati avvertiti, però, i lettori meno addestrati lo sanno, e lo dimostra una ricerca pubblicata su Science Advances, che raccoglie migliaia di esperimenti condotti su vari media online, in particolare Washington Post e Upworthy. Non solo «i lettori preferiscono titoli più semplici (ad esempio, con parole più comuni e una scrittura più leggibile) rispetto a quelli più complessi», ma addirittura «saltano i titoli relativamente complicati per concentrare la loro attenzione su quelli più immediatamente comprensibili». Al tempo stesso, «un campione di autori professionisti, tra cui i giornalisti, non segue questo schema, il che fa pensare che chi scrive le notizie le legge in modo diverso da chi le consuma».

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Prevedibile conclusione degli autori dello studio: «Semplificare la scrittura può aiutare le testate giornalistiche a competere nell’economia dell’attenzione online».

Ma parliamo solo di informazione e di siti? Non proprio. Tempo fa Times of India ha pubblicato una galleria fotografica di persone che leggono libri, accompagnata da concise didascalie sui vantaggi della lettura veloce («risparmia tempo, aumenta la produttività, etc etc»). Cosa succede però, quando gli autori dei libri non seguono i consigli di Science Advances, perché ormai morti o per cocciutaggine? Niente paura, qui entra in scena Blinkist, un’app realizzata in Germania, ma ovviamente anglofona, che si presenta così: «Più conoscenza in meno tempo. Perfetta per le persone curiose che amano imparare, per le persone impegnate che non hanno tempo di leggere e anche per le persone che non amano leggere».

Non ci sarebbe molto da aggiungere, ma a chi vuole saperne di più senza esporsi alla dubbia esperienza di ricevere al mattino, al posto della sveglia, un consiglio (anzi, un blink) del tenore di «Immergiti nel capolavoro filosofico Essere e tempo: Martin Heidegger esplora la natura dell’esistenza», si consiglia l’articolo che Anthony Lane sul New Yorker dedica all’app. Lane sa benissimo, e lo scrive, che la pratica di ridurre i libri è antica, dai classici adattati per ragazzi al Reader’s Digest.

In questa nuova forma, però, con lo zampino della cosiddetta intelligenza artificiale, la semplificazione raggiunge i vertici del grande umorismo. Un solo assaggio, il finale di Delitto e castigo nella versione audio, preferita dalla maggioranza degli iscritti a Blinkist: «Il romanzo si conclude con Raskolnikov che si reca in una prigione siberiana e sperimenta un momento di grazia divina: l’inizio della sua redenzione. Grazie mille per averci ascoltato. Se ti va, lasciaci un voto o un commento. Apprezziamo sempre il tuo riscontro. Arrivederci al prossimo Blink».