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Se il Nobel premia lo scricchiolante ordine mondiale

Se il Nobel premia lo scricchiolante ordine mondialeDaron Acemoglu, Simon Johnson e James A. Robinson

Economia L’economia dominante è una, sembra ribadire questo premio, incensiamo i suoi più giovani profeti, i cui studi ricalcano, sì, quelli di Douglass North e Herbert Simon, ma ripropongono i sani, antichi paradigmi

Pubblicato circa un mese faEdizione del 17 ottobre 2024

Il Nobel dell’economia assegnato ad Acemoglu, Johnson e Robinson conferma lo stato in cui è oggi la disciplina: in difesa dello stato del mondo dominato dal capitalismo neoliberista; più che mai concentrata in un numero ristrettissimo di università; chiusa tra mure anguste che non ammettono eterodossie né proficui contributi interdisciplinari e che più che mai auto-celebra la propria superiorità sulle altre scienze sociali, pretendendo di spiegare anche lo sviluppo culturale, istituzionale e sociale secondo i propri criteri (che Emiliano Brancaccio, martedì su questo giornale ha chiamato imperialismo metodologico).

Non è solo, come ricorda Brancaccio, che i vincitori del premio siano «apertamente anti-marxisti», sostenendo che «date le specificità istituzionali, politiche e culturali di ciascun paese, non ha senso mettersi a ricercare una ‘legge di tendenza’ del capitalismo che possa risultare valida in generale», come ha fatto Thomas Piketty nei suoi studi. Nessuna sorpresa, in questo senso, visto che per gli ortodossi tutti gli altri approcci non sono «validi» né, in definitiva, «scientifici».
È una cecità, una ristrettezza che spiega solo come gli economisti mainstream siano i più strenui difensori dell’attuale capitalismo neoliberista su cui si regge lo scricchiolante ordine economico internazionale. L’economia dominante è una, sembra ribadire questo premio, incensiamo i suoi più giovani profeti, i cui studi ricalcano, sì, quelli di Douglass North e Herbert Simon, ma ripropongono i sani, antichi paradigmi. I quali, però appaiono un tantino dogmatici, anche perché nei fatti mostrano di essere fallaci.

Il più appariscente di questi è senza dubbio l’incapacità di spiegare il successo economico della Cina. Per chi si occupa di sviluppo, infatti, la lettura offerta da Acemoglu e Robinson nel loro noto Perché alcune nazioni falliscono lascia stupiti, perché a loro, con la Cina, non tornano i conti. Secondo i due studiosi, infatti, una delle precondizioni dello sviluppo dovrebbe essere la presenza di istituzioni «non estrattive e inclusive», ovvero «democratiche».

Eppure, la Cina – che non ha quel tipo di istituzioni – ha avuto uno sviluppo che non conosce eguali nella storia recente del mondo. E anche se i suoi ritmi di crescita diminuiranno, non sanno dire perché la Cina si è sviluppata e perché lo ha fatto a quel passo. Non solo, ma se si può pensare che la Cina faccia storia a sé, perché allora altri Paesi non si sono sviluppati come la Cina, avvicinandosi ai Paesi avanzati? La loro spiegazione è che i Paesi che non si sono sviluppati sono quelli che non avevano le istituzioni dei Paesi occidentali, in cui il capitalismo liberista ha potuto prosperare. Perché, allora, la Cina si è sviluppata senza avere quelle (pressoché ideali) istituzioni?

La superiorità malcelata dell’approccio mainstream è evidente: non è ammesso che vi possano essere altri presupposti, altri modelli, altre situazioni e tutto ciò che non rientra nei canoni occidentali, «fallisce». Ma, fino a prova contraria, la Cina non è un fallimento. Non sarà una democrazia liberale, il suo sarà uno sviluppo (forse) «estrattivo», ma è il Paese che investe di più in innovazione, dove il tenore di vita è migliorato per più di un miliardo di persone in una generazione e che si è affermata nel mondo senza i presupposti malsani del neocolonialismo e della sottomissione militare. Se c’è un fallimento, è quello della teoria economica.
Una teoria che l’Accademia delle scienze svedese, nel conferire il premio alla memoria di Alfred Nobel in economia, dimostra intendere nel più monopolistico dei modi. A differenza delle altre scienze, infatti, l’economia è la disciplina nella quale, da quando il premio è stato istituito nel 1969, lo hanno ricevuto studiosi di un numero molto ristretto di università. Una concentrazione che non si vede nelle altre discipline, forse perché in economia più che altrove esiste un pensiero dominante che non riconosce altro. Un bell’attributo per chi professa la competition come la chiave per lo sviluppo.

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