È iniziata con un arresto eccellente e non è ancora finita l’operazione «Rafforzamento della sicurezza» lanciata il 27 agosto dalle Forze democratiche siriane (Sdf), la federazione multi-etnica e multi-confessionale di unità di autodifesa dell’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est.

E prosegue con narrazioni opposte: «scontro etnico» tra arabi e curdi è quella intestabile al governo di Damasco; rivolta anti-Pkk è quella turca, missione anti-terrorismo e anti-corruzione è la versione dei suoi protagonisti, le Sdf.

Teatro dell’operazione è la complessa regione di Deir Ezzor, estremo oriente siriano, al confine con l’Iraq. È qui, nel deserto, che l’Isis nasconde molte delle sue cellule, pronte ad attivarsi per compiere attacchi terroristici contro civili e forze di sicurezza, anche grazie alla porosa frontiera con l’Iraq da cui passano armi e uomini.

ED È QUI che operano diversi attori della mai sopita guerra civile siriana, divisi dal fiume Eufrate. Liberata dall’occupazione islamista dello Stato islamico nel 2019, a Deir Ezzor è operativa da allora l’Amministrazione autonoma (Aanes), con i suoi consigli popolari, le comuni, le unità di autodifesa. Ma ci sono anche le forze del governo di Damasco e milizie legate all’Iran.

C’è chi ne approfitta. Uno di questi è Ahmed al-Khabil, meglio noto in zona come Abu Khawla. Fino a dieci giorni fa era il comandante del Consiglio militare delle Sdf di Deir Ezzor. È stato arrestato con l’accusa di corruzione, traffici illeciti e legami con le cellule Isis. Il motivo: crearsi una rete di influenza personale.

«Il suo arresto, dovuto a un comportamento che viola ogni principio dietro l’Amministrazione autonoma, ha provocato la reazione dei suoi sostenitori – ci spiega Tiziano di Uiki (Ufficio informazione del Kurdistan in Italia) – Ne sono nati scontri in diverse comunità della provincia di Deir Ezzor tra i suoi uomini e le Sdf. Il bilancio è di 23 membri delle Sdf e una sessantina di sostenitori di Abu Khawla uccisi». Sabato scorso le Sdf hanno dichiarato il coprifuoco a tutela dei civili, ma – aggiungono – l’operazione è prossima alla conclusione.

Gli scontri hanno acceso un’escalation altrove. Se Damasco ha provato a far passare il confronto come una ribellione araba all’Aanes, la Turchia è andata oltre. Forte della galassia di milizie islamiste responsabili dell’occupazione di pezzi di nord siriano (da Afrin a Gire Spi e Serekaniye), «sono stati lanciati diversi attacchi nelle città di Manbij, Ain Issa, Tal Tamar – continua Tiziano – Attacchi spacciati come rivolta araba contro l’Aanes e in solidarietà con i “fratelli arabi” di Deir Ezzor. In realtà, se si vedono i video pubblicati sui social, i volti dei protagonisti sono ben visibili e riconoscibili: sono membri di gruppi islamisti come Ahrar al-Sham e Ahrar al-Sharqiya». Ovvero la milizia che nel 2019 uccise e mutilò la politica curda Hevrin Khalaf, segretaria generale del Partito della Siria del Futuro.

I filo-turchi sono andati così oltre che domenica si sono scontrati con le Sdf e con l’esercito siriano, che nel nord del paese mantiene delle postazioni: il bilancio, secondo l’Afp, è di 23 morti (18 miliziani e cinque soldati siriani).

INTANTO, per scacciare dubbi sulla reale natura della rivolta di Deir Ezzor, sabato scorso sheikh e capi tribù delle comunità arabe della Siria del nord-est hanno ribadito il loro sostegno al progetto di coesistenza dell’Aanes e avvertito della minaccia dietro i tentativi di attori esterni di instillare divisioni nella sua fabbrica sociale.

E, aggiungono, l’operazione «Rafforzamento della sicurezza» è partita in risposta agli appelli delle stesse comunità arabe locali. «Sono state le stesse unità arabe delle Sdf a portarla avanti – conclude Tiziano – I primi sei caduti delle Sdf negli scontri erano arabi, parte della Brigata democratica del nord».