Rimandato di sei giorni a causa della paura di un sit in di protesta, il primo tavolo tecnico sulle pensioni si è tenuto ieri mattina. Per evitare problemi, il presidio di protesta dei movimenti che chiedono il ripristino di Opzione donna è stato direttamente vietato dal governo.

A RICEVERE PRIMA I SINDACATI e poi le imprese però non è stata la ministra Marina Calderone, ma l’ineffabile Claudio Durigon, l’inventore del flop Quota 100 che durante il governo Draghi si era dovuto dimettere per aver proposto di rinominare «Mussolini» il parco Falcone e Borsellino di Latina.

L’argomento da trattare doveva essere «donne e giovani» ma la pensione contributiva di garanzia da anni invocata dai sindacati per evitare la bomba sociale di assegni da fame per intere generazioni di precari è stata solo evocata di striscio.

L’abile propaganda di governo ha spostato subito l’attenzione sulla proposta di «sconto» per le donne. Andare in pensione con quattro mesi di anticipo per ogni figlio. Norma già prevista dalla riforma Dini del 1995 per chi ha iniziato a lavorare dopo la sua entrata in vigore. Per far contente Cisl e Ugl, Durigon (che della stessa Ugl è stato segretario e che dall’Ugl si faceva pagare l’affitto della casa poi da lui comprata con lo sconto dal fondo pensionistico dei lavoratori dell’agricoltura Enpaia, che ora come sottosegretario dovrebbe controllare) ha buttato là di allargare la normativa – con il limite massimo di 12 mesi di sconto, pari a tre figli – anche alle lavoratrici che sono nel sistema misto.

La misura dovrebbe costare 700 milioni di spesa previdenziale in più, qualcosa simile a niente rispetto alla promessa elettorale di «cancellare la riforma Forneno».

Su Opzione donna invece Durigon ha deluso perfino Cisl e Ugl. L’ultima legge di Bilancio ha stravolto la norma lanciata dall’allora ministro Maroni nel 1995 che permette di andare in pensione anticipata alle donne ma con un ricalcolo contributivo completo che corrisponde a un taglio del 30% dell’assegno: ha lasciato i contributi richiesti a 35 anni ma ha alzato l’età da 58 a 60 anni, e, ancor più grave, solo per tre categorie di lavoratrici: caregiver, invalide al 74%, licenziate o dipendenti da imprese in crisi. La platea potenziale si è così ristretta a sole 2.900 lavoratrici, producendo circa 40 mila nuove «esodate». Ieri Durigon ha ribadito l’impegno a migliorare la norma, ma di certo non si tornerà alla versione originaria. Alla faccia dei comitati.

INVECE DELLA PENSIONE di garanzia per giovani e precari Durigon propone «una integrazione al trattamento»: anche qui si tratta di un intervento che non risolverebbe un bel niente e che, a differenza della pensione contributiva di garanzia, non incentiverebbe a lavorare. Nella stessa direzione la possibilità di ridurre il vincolo minimo di 1,5 volte l’assegno sociale previsto dalla Fornero per poter andare a 67 anni ora, a oltre 70 nel 2030: si andrebbe in pensione più facilmente, ma sempre con assegni da fame.

«Ci aspettiamo risposte, bisogna passare dalle dichiarazioni ai fatti», commenta alla fine il segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri. La Cgil con il segretario confederale Christian Ferrari parla di «incontro interlocutorio, deludente: non abbiamo ricevuto alcuna risposta». Ma la Cisl, beata lei, col segretario confederale Ignazio Ganga vede l’impegno del governo a «rendere il sistema più equo e socialmente sostenibile».