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Scippo nelle tenebre al Teatro di Roma

Scippo nelle tenebre al Teatro di Roma

Nomine Blitz della destra: Mibact e Regione Lazio nominano direttore Luca De Fusco in assenza del comune di Roma. Una convocazione del cda contro le regole.

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 21 gennaio 2024

Quella di ieri non è stata la giornata di auspicata «ripartenza» del Teatro di Roma (che il manifesto aveva ottimisticamente azzardato), trasformandosi invece in un gioco al massacro di scatole cinesi, dai risultati ora imprevedibili, ai limiti dell’assurdità. Se fosse vero il commento di Giorgia Meloni, ovviamente non confermato ma riportato dal quotidiano Il foglio, sarebbe il più calzante e rivelatore di quanto è successo: «una nomina con il favore delle tenebre». Un colpo che i giornali attribuiscono al responsabile culturale di FdI Mollicone.

Un colpo da «ladri di Pisa» come dicevano i nostri nonni, perché la riunione del cda del Teatro di Roma programmata per ieri, convocata dal presidente Francesco Siciliano, era stata dal medesimo spostata ai prossimi giorni (forse proprio perché non si era ancora trovato un accordo onorevole all’interno del consiglio). I rappresentanti del comune, lo stesso Siciliano e Natalia Di Iorio, avrebbero voluto approfondire la discussione sui tre candidati (tutti maschi, nessuna donna) che un’apposita commissione aveva scremato tra le 42 autocandidature. Gli altri tre membri però, sentendosi forti del loro essere, almeno aritmeticamente, «maggioranza», si sono riuniti da soli, barricati in un ufficio dell’ente a Largo Argentina. E hanno addirittura proceduto alla nomina, come nuovo direttore del teatro, di quello probabilmente più «loffio» dei tre candidati superstiti. Luca De Fusco, risultato così eletto da quella parte autoproclamatasi giudice unico.

DE FUSCO è un regista che ha già diretto negli anni diversi teatri (Venezia, poi Napoli e ora Catania), ha inventato un premio che ogni anno generosamente premia ogni forma di teatro e il suo contrario, ma non si può dire abbia mai lasciato una traccia profonda sulle scene che ha attraversato. Il suo ricordo più vivido resta forse, ancora ragazzo, con un agguerrito gruppo di giovani napoletani, ad una lontana Biennale di Maurizio Scaparro: una variazione sui testi di Borges, ma potente era l’influsso, su quella teatralità, del palcoscenico: il mitico Teatro del mondo creato da Aldo Rossi, ormeggiato davanti a San Marco. Ieri in compenso si è già affrettato a dare all’Ansa un suo programma di massima, ecumenico e aperto fino alla banalità: «non solo teatro di parola, ma anche avanguardia e danza»…

Già, perché ieri mattina De Fusco è stato nominato direttore dello stabile romano. A deciderlo i tre membri del cda che hanno voluto contraddire il rinvio richiesto dal presidente: due nominati dalla regione e uno dal ministro Sangiuliano, il fronte governativo insomma, che cerca di metter le mani sul maggior numero di istituzioni possibili come si vede sempre più spesso.

CON UN PARTICOLARE  non trascurabile però: dei tre ben due sono di nomina della regione, uno del ministero. Quanto a quest’ultimo, è curioso il suo voto, visto che il candidato alternativo a De Fusco è Ninni Cutaia, ottimo manager dello spettacolo che oltre agli eccellenti titoli professionali in dotazione, è attualmente direttore del Maggio musicale fiorentino (casella cui il Ministro destinerebbe volentieri Carlo Fuortes per risolvere in qualche modo il pasticcio della sua non rimarginata defenestrazione dalla Rai). Inoltre Cutaia è un riconosciuto ottimo manager dello spettacolo, senza ambizioni artistiche che spesso fanno finire alla gogna le migliori intenzioni.

L’altro aspetto sostanziale è quello dei due commissari in dotazione alla regione Lazio: il suo contributo al teatro è poco più di un milione di euro l’anno: quello del comune ammonta a sei milioni e mezzo. Stesso numero di rappresentanti però. Fuori della pura «rapina» politica e partitica da parte della destra al governo, non si vede il motivo per cui possano decidere di una nomina così importante i soli contributori di netta minoranza, togliendo alla città di Roma ogni potere dentro quello che è innanzitutto il teatro della città, una delle sue maggiori istituzioni (e risorse!) culturali.

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