Il giorno dopo lo sciopero contro la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario al quale ha partecipato meno della metà dei magistrati, si sentono le prime voci critiche all’interno dell’Anm. Di «plateale insuccesso» parla la corrente-non corrente Articolo 101, che però di scioperi ne avrebbe voluti più di uno, e chiede (non è una novità) le dimissioni della giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati. Di un «fallimento» scrive anche il segretario di Magistratura democratica Stefano Musolino, sostenendo però che l’Anm deve «restare unita» e ripartire dalla «consapevolezza degli errori compiuti e dalla necessità di recuperare il valore della partecipazione». Abbiamo cercato Massimo De Filippo, pm a Busto Arsizio da dove è partito il primo appello dei magistrati «di base», iscritti all’Anm ma esterni alle correnti, che si è allargato a Nola e poi in tante altre città, soprattutto sud e isole, agitando nelle mailing list delle toghe l’onda di preoccupazione per la riforma Cartabia. Se il vertice dell’Anm alla fine è arrivato alla proclamazione dello sciopero è in buona parte responsabilità di questo «movimento».

Dottor De Filippo, avete avuto lo sciopero ma è andato molto male.

Avrei sperato in una partecipazione maggiore, avrei sperato che la magistratura si mostrasse meno spaccata, non lo nego. Ma è comunque un buon risultato, tenendo presente il momento di difficoltà in cui ci troviamo e anche che la nostra categoria sciopera molto mal volentieri. Intorno a chi, come noi qui a Busto, ha cominciato a lanciare l’allarme per la riforme – un allarme nell’interesse dei cittadini, non dei magistrati – prima c’era il deserto. Adesso c’è un 50% che nonostante le difficoltà ha assunto una posizione. Ed è un gran bel punto di partenza per il risveglio delle coscienze.

Ma lo sciopero aveva un obiettivo preciso: ottenere modifiche alla riforma. Non crede che adesso l’obiettivo sia persino più lontano?

È chiaro che adesso useranno questo risultato contro di noi. Ma attenzione: anche la metà che non ha scioperato in maggioranza è contraria alla riforma. Poi è chiaro che gli spiragli per ottenere modifiche erano e restano pochissimi.

Forse è proprio per questo che la maggioranza non ha scioperato: era uno sciopero di testimonianza.

Abbiamo lanciato un segnale. Nella passività non c’è mai forza. Prima c’erano rassegnazione, disfattismo e in qualche caso anche indifferenza. A Busto abbiamo creato condivisione e il risultato è stato il 90% di adesione allo sciopero. La mattina abbiamo accolto 150 studenti, abbiamo fatto processi simulato. La sera, fino a mezzanotte, abbiamo fatto un’assemblea partecipatissima con il presidente dell’Anm Santalucia. Poteva andare meglio. Ma chi rinuncia a battersi per le sue ragioni ha già perso.

Pensa che lo sciopero bisognasse farlo prima?

A Busto siamo partiti l’11 marzo con un’assemblea e un appello. Avevamo capito che in assenza di mobilitazione la riforma sarebbe persino peggiorata, com’è successo. Il vertice dell’Anm diceva: siamo eletti, abbiamo un mandato a rappresentare le ragioni della magistratura. Il che era sicuramente vero, ma loro stessi ci riferivano di un muro di gomma. Le ragioni dei magistrati sono state completamente ignorate. Capisco le difficoltà che ci sono state nel convocare lo sciopero, all’assemblea straordinaria siamo arrivati con fatica. Il segnale andava lanciato prima, ma io dico: meglio tardi che mai.

Proprio voi di Busto avete voluto prevedere la possibilità di un secondo sciopero. Dopo questo risultato, insistete?

Il dispositivo approvato dall’assemblea ci è venuto incontro prevedendo che il Comitato direttivo centrale dell’Anm valuti nuove iniziative, sciopero compreso, in caso di mancato ascolto della politica. È quello che mi aspetto che facciano.

Sta pensando alle candidature per il Csm?

Sì, ma ho un conflitto interiore. Ho la tentazione di tenermene fuori per evitare strumentalizzazioni. Ma penso anche che il tema sia troppo importante per eluderlo. Faremo le valutazioni più opportune con il gruppo di colleghi di tutti i distretti con i quali abbiamo lavorato in questi mesi.