Schianto sulla statale 172: una bracciante di 65 anni è morta, ferite altre 4
La tragedia E' accaduto all'alba. Le donne erano a bordo di un pulmino. Andavano a lavorare nei campi. Tutte avevano più di sessant'anni. La geografia dello sfruttamento e del caporalato nel quarto rapporto "Altro Diritto" e Flai Cgil: una lettura necessaria per capire la violenza del sistema che passa inosservata mentre regna l'impotenza organizzata
La tragedia E' accaduto all'alba. Le donne erano a bordo di un pulmino. Andavano a lavorare nei campi. Tutte avevano più di sessant'anni. La geografia dello sfruttamento e del caporalato nel quarto rapporto "Altro Diritto" e Flai Cgil: una lettura necessaria per capire la violenza del sistema che passa inosservata mentre regna l'impotenza organizzata
Morire a 65 anni sulla statale 172 tra Turi e Casamassima in provincia di Bari alle cinque del mattino. Morire per andare nei campi a lavorare. Da bracciante. Morire per caso dopo un sorpasso azzardato fatto dal conducente del pulmino che trasportava la donna bracciante deceduta in uno schianto con un auto che sopraggiungeva in direzione opposta. Morire mentre altre quattro braccianti, tutte donne, chiuse nel pulmino, tutte sopra i sessant’anni, sono rimaste ferite per lo schianto. Morire a 65 anni mentre si raggiunge il campo di lavoro. Questo è lo scandalo. Questa è la violenza.
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Schiavi dei caporali nel sud EuropaQuesta è l’infamia che passa inosservata mentre il regime dell’omicidio organizzato del lavoro in Italia, ogni giorno, produce nuove morti, feriti, incidenti. Solo nel corso della giornata di ieri sono decedute altre due persone. Un imprenditore edile, Bartolo Zaia, di 68 anni, è morto a Lipari cadendo da una impalcatura in un cantiere a Zinzolo dove stava ristrutturando un’abitazione. Il primo maresciallo dell’Esercito Andrea Fagiani, 49 anni, comandante del Deposito munizioni ed esplosivi «Mario La Barbera», è stato schiacciato da un muletto nella frazione di Nera Montoro a Narni. L’incidente sarebbe avvenuto l’altro ieri. L’artificiere era morto da ore.
È in questo contesto che va letto il quarto rapporto del Laboratorio «Altro diritto» e Flai-Cgil sullo sfruttamento lavorativo e sulla protezione delle sue vittime, presentato ieri all’Università di Roma Tre e coordinato da Chiara Stoppioni e Emilio Santoro. Il primo dato eclatante rispetto all’ultimo rapporto che fotografava la situazione a fine del 2019, quindi prima della pandemia, è che il numero di inchieste avviate per fatti di sfruttamento lavorativo, negli ultimi due anni, è cresciuto in maniera esponenziale: l’ultimo rapporto si fondava sull’analisi di 214 inchieste, mentre oggi sono 458 i procedimenti monitorati. «Al netto del fatto che il dato è puramente indicativo – spiegano gli autori del Rapporto -, visto che il monitoraggio non riesce a dar conto di tutte le inchieste in atto, esso sembra indicare che l’attenzione degli inquirenti per il fenomeno è cresciuta». A partire dal 2019, si registra una crescita massiccia dei procedimenti: in quell’anno si sono intercettate ben 121 nuove inchieste. Tale cifra si è mantenuta pressoché costante, con una leggera flessione nel 2021, quando il numero di nuovi procedimenti individuati è stato pari a 101.
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Tutti i numeri della grande piaga del caporalatoChi sono le vittime del caporalato? Cittadini stranieri e italiani. Su 391 inchieste in cui siamo riusciti a ricavare la nazionalità delle vittime, 293, il 74% dei procedimenti individuati, coinvolgono solo stranieri extra Ue, a queste vanno aggiunte 26 inchieste in cui le vittime sono sia stranieri che cittadini dell’Unione Europea. Se si sommano i due gruppi se ne ricava che in 319 casi su 391, circa l’81%, sono coinvolti stranieri. Anche se i numeri non sono eclatanti l’aumento delle inchieste che contano tra le vittime cittadini italiani è sconcertante. Dopo essere state pochissime unità nei primi anni, queste inchieste dal 2018 si assestano tra le 10 e le 15 l’anno. Il numero appare leggermente in calo (12) nel 2021 ma, anche in questo caso, occorre tener conto dei tempi tecnici che richiedono le inchieste, per cui il dato è provvisorio». A partire dal 2019 è cresciuta in maniera consistente la cifra delle indagini nel Centro e nel Nord Italia (su 121 vicende, 51 erano relative al Meridione, mentre le restanti si ripartivano in maniera identica tra Centro e Nord Italia) e, nel 2020, le proporzioni si sono addirittura invertite, tanto che, su 127 inchieste, sono state ben 45 quelle delle Procure del Nord, a fronte di 41 vicende relative alle regioni centrali e altrettante nel Sud.
Nel 2021 i dati indicano che le inchieste nel Mezzogiorno sono tornate a essere leggermente maggioritarie. La geografia dello sfruttamento non è cambiata. Forse è cambiata la prospettiva degli inquirenti che sembrano aver smesso di concepire il fenomeno come prevalentemente localizzato nel settore agricolo del meridione e hanno iniziato a guardare allo sfruttamento come a una strategia di economia politica in ogni regione
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