Lavoro

Tutti i numeri della grande piaga del caporalato

Tutti i numeri della grande piaga del caporalato

Agricoltura L’European House Ambrosetti stima circa 80 distretti agricoli gestiti da «caporali» con oltre 400 mila operai coinvolti (l’80% stranieri), a 25 - 30 euro per12 ore di lavoro

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 23 luglio 2021

Presente nell’edilizia e nei trasporti, nella logistica e nei servizi di cura, l’intermediazione illegale di manodopera si è radicata con particolare virulenza e pervasività nelle attività agroalimentari caratterizzate da rapporti di lavoro di breve durata in luoghi isolati dai centri abitati, in grado di sfuggire ai controlli.

Il documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sul fenomeno del «caporalato» in agricoltura condotta dalle Commissioni Riunite Lavoro e Agricoltura della Camera dei Deputati (Doc. XVII, n.9) sottolinea la gravità di un fenomeno parte integrante della rete criminale delle agromafie e l’urgenza di una più decisa azione di contrasto e di prevenzione. pdf qui 

Pressati dalla concorrenza internazionale e dall’incertezza delle «aste a doppio ribasso», per rendersi più competitive e accrescere i profitti, anziché puntare sull’innovazione tecnologica, numerose aziende agricole hanno preferito comprimere al massimo i costi del lavoro attraverso il ricorso a forme criminose di reclutamento e organizzazione della manodopera.

Lo sfruttamento lavorativo avviene su persone in stato di bisogno costrette ad accettare condizioni di vita degradanti che il Covid ha peggiorato. I trattamenti vessatori e umilianti ai quali sono sottoposte provocano completa dipendenza dai caporali: una vera e propria servitù, fino a casi di schiavitù per i provenienti da operazioni di tratta di esseri umani.

La normativa vigente offre importanti strumenti di contrasto. Il Parlamento ha in gran parte rispettato le convenzioni internazionali sui diritti umani e le Direttive europee che obbligano gli Stati a legiferare contro il commercio di esseri umani e le varie forme di coercizione lavorativa.

Le modifiche apportate al Codice Penale nel 2016 dalla legge 199, con l’ampliamento degli strumenti investigativi, l’aggravamento delle pene per i caporali, le sanzioni a carico dei datori di lavoro coinvolti e le confische in caso condanna (art. 603 bis) sono risultati efficaci anche se non risolutive. Hanno consentito di moltiplicare gli accessi ispettivi (5.806 nel 2019) e le sospensioni di attività imprenditoriali illecite.

Dai dati sulle operazione di polizia giudiziaria svolte dal Comando dei Carabinieri per la Tutela del Lavoro emerge come nel 2019 siano state denunciate 324 persone, di cui 99 in stato di arresto, con 1488 lavoratori coinvolti, di cui 751 in nero. Ma andrebbe meglio se si attivassero apposite task force con l’ausilio di droni.

Gli esiti della politica di prevenzione sono deludenti. Si registra il persistere di una tipologia di tratta finalizzata alla cattura di operai da impiegare forzatamente nelle filiere agroalimentari e il diffondersi del caporalato in quasi tutto il territorio nazionale con il sistematico sfruttamento di migranti extracomunitari privi di permesso di soggiorno, e la sempre più frequente presenza di criminalità organizzata.

L’European House Ambrosetti stima in almeno 80 i distretti agricoli gestiti da “caporali” con oltre 400 mila operai coinvolti (l’80% stranieri), pagati 25 – 30 euro al giorno per 12 ore di lavoro.

La «Rete di lavoro agricolo di qualità» non ha avuto il successo sperato. Istituita sin dal 2014 presso l’Inps, valorizza le aziende che impiegano manodopera con modalità trasparenti e conformi alle leggi sul lavoro sottraendole alla vigilanza ispettiva. Alla fine di gennaio 2021 però gli iscritti alla Rete erano appena 4506 su un potenziale di 120 mila aziende e oltre 200 mila coltivatori.

Il suo rilancio richiederebbe di aprire le «Sezioni territoriali della Rete» in grado di assicurare ai lavoratori adeguati servizi alloggiativi e di trasporto e offrire sedi di incontro tra domanda e offerta di lavoro favorendo l’emersione di «lavoro nero» e «lavoro grigio» alla base delle pratiche commerciali sleali vietate dalla Direttiva Europea 633 del 2019.

Resta cruciale il ruolo etico dei consumatori che dovrebbero preferire i prodotti delle imprese virtuose aderenti alla Rete che operano in regime di legalità richiedendo alle catene di distribuzione commerciale di indicare nelle etichette il prezzo di origine pagato al produttore per evidenziare il peso delle successive intermediazioni.

Il Governo punta sulle «azioni prioritarie» che il Piano Triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-22) prevede per le aree più critiche. Ma il vero deterrente potrebbe rivelarsi l’introduzione della «Clausola sociale di condizionalità» nella nuova disciplina della Politica Agricola Comunitaria (Pac). Prevista in un emendamento approvato dal Parlamento europeo il 23 ottobre 2020: la clausola stabilisce che i sostanziosi contributi europei possano essere concessi e mantenuti solo ad aziende in linea con i contratti collettivi di lavoro e la normativa nazionale ed europea.

È da augurarsi che l’intreccio di interventi pubblici e comportamenti individuali sensibili al rispetto dei diritti umani e della dignità della persona sia proficuo, in grado di incidere profondamente su una piaga sociale inaccettabile per una comunità civile.

* Ordinario di Teoria e politica dello sviluppo, Camerino

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